BUTTAFUOCO BRUCIA IL SINDACO ZELIG - “A QUELLI DI SINISTRA RENZI FA SEMBRARE POSSIBILE LA VITTORIA, A QUELLI DI DESTRA OFFRE UNA FURBATA: NON SEMBRARE DI SINISTRA, ANZI È IL PERFETTO COMPARE DI BRIATORE!”

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Pietrangelo Buttafuoco per "Il Foglio"

Gli happy days di Matteo Renzi non sono populismo. La piccola simbologia dell'Ikea-Leopolda fatta di Vespe, frigoriferi, pass friendly col solo nome e quattro minuti quattro di speech è puro marketing interscambiabile. Lui, infatti, è tutto dentro il codice di zio Silvio suo, compresa la bella Maria Elena Boschi che - seppure distante dall'estetica da Rete 4 del recente berlusconismo - aggiorna l'idea femminile dell'impegno politico in una rivisitazione del pop. Sono happy questi days e la bella Boschi, infatti, in quel festoso Zecchino d'Oro del ceto medio riflessivo qual è stata la vernice renziana, è risultata come una rassicurante Mariele Ventre.

La soave Boschi, come il dolce capo coro dell'Antoniano, dunque, così tanto acqua e sapone ma con gli stivaletti azzurranti da lenza in assetto giaguaro ha assicurato - ancora più di quanto abbia fatto Zurlì-Renzi - l'avanzamento del palinsesto nell'immaginario di un consenso sovrapponibile. Non si arriva da Frank Sinatra a Fonzie senza accorgimenti strategici.

Tutta questa pop-politik è, appunto, l'italian way of America. Berlusconi ha - bene o male - concluso il Novecento, ha inventato un modello e in questo solco Renzi ha piazzato il proprio aratro al punto di proporre il brand in luogo del kit, il vintage chic al posto delle cravatte di Marinella, la carovana invece che la nave azzurra.

Proprio happy questi days e dalla catastrofe estetica del berlusconismo - cominciata in quella sua discesa in campo quando, col microfono cosiddetto "gelato", sembrò avviarsi in scena cantando "My Way" - si entra, quindi, in questa storia nuova come in un incastro di matrioske perché Renzi, a quelli di sinistra, regala un calcolo: con lui si vince. A quelli di destra, invece, offre una furbata: non sembrare affatto di sinistra, anzi.

E' il perfetto compare di Flavio Briatore ma il gran carro vincente di Renzi accoglie tutta quella popolazione attiva che è, appunto, più che un blocco sociale, un target dove il Twiga convive con Eataly e con Oceanomare, ed è tanto largo questo mare da contenere il pianista di Baricco e le vongole dell'Arcitalia. Da Frank Sinatra a Fonzie, appunto, perché il populismo è tutta un'altra storia. Il populismo è fatto di fetori. Un Beppe Grillo, giusto per andare in concreto, deve sbrogliarsela con le periferie, col bar sport e col burp dell'antipolitica.

Saranno pure numeri, quelli del populismo, ma non fanno sostanza. I Renzi oggi - come zio Silvio suo, ieri, non sono la rivoluzione. Quelli degli happy days sono le fighette. Se l'etimologia ha un senso, nella radice della parola di cui prima, dunque nella ficaggine della pop-politik, c'è un elemento di fascino che il rabbioso montare del populismo non potrà avere.

Tutto ciò, pur nel provincialismo dell'italian way of America, è la presentabilità sociale. Tutto ciò è il guadagno fondamentale per quell'agibilità che Renzi - a differenza di zio Silvio suo, tenuto ai margini dell'establishment - ha già ottenuto soffiando il crisma della sinistra ai legittimi titolari, tutti rottamati e perfino oltraggiati, come la combattiva Chiara Geloni, sottoposta al trattamento di rieducazione cool per tramite di Twitter.

Gli italiani vogliono solo vincere e senza più quel Novecento che la faceva tragica su tutto, gli italiani vogliono solo consumare un marchio: essere alla moda perché saranno pure fuffa, i linguaggi del renzismo, ma sono miele puro per le potenti mosche dell'opportunismo. Sono, questi, i giorni dell'acchiapparella: il riposizionamento dell'eterna Italia dei comodacci propri. E' il conflitto d'interessi nell'apoteosi della mobilitazione di massa. Un semplice smottamento di palinsesto: da Rete 4 a Happy Days. Ma con un Fonzie un poco più carogna.

 

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