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Renzo Guolo per “la Repubblica”
La decapitazione di Hervè Gourdel, l’ostaggio francese brutalmente ucciso dai jihadisti algerini di Jund al-Khilafah, i Soldati del Califfo, così come le minacce del gruppo filippino Abu Sayyaf, pronto a uccidere gli ostaggi tedeschi che detiene, rivelano che la sirena dello Stato Islamico emette un canto che rischia di diventare irresistibile.
Entrambi i gruppi, che hanno giurato fedeltà alla creatura di Al Baghdadi, hanno legato la sorte degli ostaggi alla fine dell’intervento militare occidentale contro il Califfato. Richiesta ultimativa già fatta emergere sotto la terribile minaccia della lama nei deserti siriani, per bocca dei tre ostaggi occidentali dell’Is poi uccisi da “ John il Boia”.
Nell’ideologia panislamista radicale ogni intervento contro un territorio della Casa dell’Islam obbliga alla mobilitazione a sostegno della jihad. Ma in questo caso il riflesso condizionato è rinforzato dall’adesione al progetto politico dell’organizzazione di Al Baghdadi. Il Califfo Nero e la sua shura, il cerchio stretto con cui si consulta, hanno dimostrato grande abilità anche sul piano della comunicazione politica.
Togliendo due lettere alla sigla dello Stato Islamico nel Levante e in Iraq hanno evocato il mito politico di fondazione dell’Islam, un richiamo enorme per i militanti che hanno come riferimento due stelle polari: la jihad e, appunto, lo Stato Islamico.
Tanto più che, per la prima volta dopo la caduta dell’Emirato del mullah Omar, segnato inesorabilmente dalla radice etnica pashtun e dalla dimensione circoscritta all’Afghanistan, il radicalismo islamico sperimenta una forma di governo non limitata territorialmente e, almeno prima dell’intervento della “coalizione dei quaranta”, destinato a durare nel tempo. Una forma di governo che ha, addirittura, l’ambizione di unificare l’intero mondo della Mezzaluna sotto un rinato Califfato.
Sarebbe sbagliato interpretare la solidarietà di altri gruppi qaedisti allo Stato Islamico, emersa persino nelle parole di un cauto e sempre più tagliato fuori Zawahiri, come segnale di adesione al progetto di Al Baghdadi o di automatica ricomposizione del fronte jihadista sotto un’unica leadership.
Perché avvenga questo passaggio, ci dev’essere un esplicito patto, il “ bayat”, necessario perché un gruppo si ponga sotto il comando di un capo politico e religioso riconosciuto. E, per quanto le organizzazioni regionali di Al Qaeda, in particolare Al Qaeda nel Maghreb Islamico e Al Qaeda nella Penisola Arabica, abbiano lo stesso nemico del sedicente Califfo, quel passaggio non è ancora avvenuto. Almeno per ora.
Perché è chiaro che lo Stato Islamico sotto il fuoco occidentale con la complicità dei “governi degli ipocriti” diventa un magnete per i fautori della jihad. Al Qaeda storica è stata ulteriormente indebolita dalla liquidazione sotto i colpi americani del Gruppo Khorasan, di cui ieri sarebbe stato eliminato il leader Mohsin al-Fadhli, fedele alla linea della lotta a oltranza al Nemico lontano. E ora l’attrazione verso lo Stato Islamico rischia di diventare fatale anche tra i gruppi delle organizzazioni regionali qaediste.
Prospettiva che trasformerebbe in un unico grande fronte della guerra allo Stato Islamico i paesi nei quali i gruppi sono presenti, dall’Africa Subsahariana al Corno d’Africa, dalla Penisola arabica all’Asia centrale. Rendendo globale ciò che, oggi, nonostante il sogno di espansione dal Golfo al Mediterraneo, è ancora locale.
Attratti dal canto delle sirene dell’IS sono i militanti di Jund al Khilafah, che offrono ritualmente la testa di Gourdel sul desco insanguinato del Califfo Nero. Il gruppo, nato da una costola dissidente di Al Qaeda nel Maghreb Islamico, è guidato da Gouri Abdelmalek, un vecchio comandante militare dell’organizzazione. Abdelmalek ha fatto pubblicamente sapere a Al Baghdadi che nel Maghreb può contare sui suoi uomini.
A conferma del potenziale attrattivo dello Stato Islamico, Abdelmalek afferma di essere stato raggiunto da altri dissidenti dell’Aqmi che hanno rinforzato i ranghi dei Soldati del Califfato. È noto che nei gruppi algerini la rivalità dei comandanti militari è assai accesa, e non sempre per motivi ideologici. Ma il terribile tributo di sangue offerto con l’assassinio di Gourdel, presentato come «vendetta per l’aggressione crociata francese al Califfato», è l’ennesimo segnale che il fronte jihadista è in movimento e che la partita che si gioca tra Siria e Iraq ha come posta in gioco anche la leadership dell’islam radicale.
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