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Monica Guerzoni per "Il Corriere della sera"
La sua missione è esorcizzare la paura e trasformare Berlusconi, agli occhi degli indecisi, in «una specie di Superpippo». Con questi obiettivi è iniziata la nuova battaglia del grande sconfitto delle primarie, chiamato in soccorso dal segretario del Pd nella fase più difficile della campagna elettorale. Venerdì Matteo Renzi sarà a Napoli, nel weekend batterà palmo a palmo il Piemonte, mercoledì 13 andrà in Lombardia, venerdì 15 in Veneto e poi forse volerà in Sicilia. Un tour de force che il sindaco di Firenze avrebbe cominciato volentieri anche prima, se solo Bersani glielo avesse chiesto.
Ma come non è facile per Renzi sottomettersi alla disciplina di partito, salire su un palco e spronare gli elettori ad andare a votare per l'«altro», allo stesso modo non dev'essere stato semplice, per l'aspirante premier, rassegnarsi a ricorrere all'ex rottamatore per arginare Berlusconi. Così la chiamata per il bene della «ditta» è partita in ritardo, ma è partita.
E sabato i Pd Brothers, come i democratici hanno ribattezzato i duellanti delle primarie, si faranno fotografare insieme allo stadio di Torino per Juve-Fiorentina, uno bianconero e l'altro viola sfegatato. Per ora è l'unica tappa in tandem dopo Firenze: un evento che, stando alla sondaggista Ghisleri, avrebbe portato al Pd un punto tondo tondo. La segreteria del Pd ha studiato un'agenda su misura che lo porterà nelle regioni in bilico da asso nella manica di Bersani.
«Renzi andrà in quelle aree dove il tessuto sociale è sensibile ai messaggi dell'antipolitica e dove tanti italiani sono rimasti delusi dalle promesse mancate di Berlusconi e della Lega», spiega la strategia il responsabile Enti locali, Davide Zoggia. La chiamata in soccorso di Renzi ha sollevato unanime soddisfazione e, sottotraccia, anche molta insofferenza.
«Ci siamo legati le mani alleandoci con Vendola e ora chiediamo proprio a lui di giocare un ruolo?», lamenta un dirigente bersaniano. Ma nell'ufficialità nessuno è così stolto da incrinare l'unità . «La partecipazione dello sconfitto alla campagna è cruciale», lo incoraggia Enrico Morando.
«Con Berlusconi che rischia di arrecare altri danni all'Italia ognuno deve fare la sua parte - teorizza Beppe Fioroni - anche Matteo». Marianna Madia riconosce a Renzi «coraggio e coerenza» e Giorgio Tonini ritiene cosa buona e giusta la collaborazione tra sconfitto e vincitore: «Nel 1976 Moro e Zaccagnini, temendo il sorpasso del Pci sulla Dc, misero in pista Fanfani dopo averlo battuto al congresso».
L'idea che il sindaco possa giocarsela nelle future assise già agita la sinistra. «Renzi ci serve per intercettare gli astenuti e il voto laterale agli insediamenti classici del Pd - riconosce Matteo Orfini -. Ma il prossimo segretario lo deciderà il congresso e lui non sarà l'unico candidato». Davvero non c'è un accordo con Bersani? «Io lo escludo». D'altronde è lo stesso sindaco a smentire qualsiasi scambio con il segretario. La leadership del Pd, non fa che ripeterlo, non è nei suoi progetti. E chissà se è sempre con Palazzo Chigi nel cuore che il sindaco ha capito quanto dare una mano a Bersani sia «un investimento per il futuro».
Il 20 lo aspettano a Milano per sostenere Ambrosoli e forse i liguri, che ci contavano nella stessa data, dovranno rassegnarsi. Il 21 sarà nelle Marche e il 22 approderà a Bologna, dove chiuderà la sua personalissima campagna da salvagente democratico. L'altra sera, ospite di Lilli Gruber, Matteo è stato piuttosto effervescente e adesso in tv lo (ri)vogliono tutti. Ma l'unico conduttore a cui il sindaco ha dato per ora una mezza conferma è Ilaria D'Amico.
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