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Il lungo e antico “patto amicale” tra l’ex Re Bellanapoli e il sommo Eugenio Scalfari si è rotto fragorosamente domenica scorsa nel silenzio dei soliti media ossequiosi. O, peggio, distratti.
SCALFARI E NAPOLITANO ALLA FESTA DEL 2 GIUGNO
Del resto sosteneva lo scritto Emil Cioran l'amicizia è “un patto, una convenzione”. E due persone “si impegnano tacitamente a non strombazzare quello che in realtà ciascuno pensa dell'altro. Una specie di alleanza a base di riguardi. Quando uno dei due – aggiunge Cioran - manifesta pubblicamente i difetti dell'altro, il patto è denunciato, l'alleanza rotta”.
sca16 eugenio scalfari cleo napolitano
E’ quanto accaduto, in pratica, tra il presidente emerito e il suo antico (e tollerante sodale) Eugenio.
Dopo aver benevolmente sopportato che al Quirinale Giorgio Napolitano fungesse prima da levatrice e poi da badante del cazzetto Renzi, il fondatore de “la Repubblica” ha capito infine che il nostro non era per niente pentito di aver “tradito” pure la Costituzione nel portare a palazzo Chigi, senza alcun passaggio parlamentare, l’attuale capo del governo a futura maggioranza bianco-rosso…Verdini.
renzi e napolitano assistono all'elezione di mattarella
E che, soprattutto, il nuovo sistema bicamerale sostenuto da Bellanapoli anche nel suo ultimo intervento alla Commissione Affari costituzionali di palazzo Madama, con “poteri soverchianti” affidati nelle mani del premier, è una vera e propria fetenzia.
Ma dopo la pubblicazione delle intercettazioni “confidenziali” tra il piccolo Ceasescu di Rignano sull’Arno e il generale della Finanza, Michele Adinolfi, nonché quelle della “cricca” attovagliata alla “Taverna Flavia” - che parlava di un capo dello Stato “ricattabile” a causa del figlio Giulio -, forse Scalfari, uno che di trame occulte se ne intende (Piano Solo-Golpe De Lorenzo) - ha capito che dietro lo “squallore’’ della vicenda forse si nasconda qual cos’altro di ben peggiore.
Così nel suo ultimo editoriale domenicale Eugenio ha preso le distanze dal suo amico Giorgio sul tema delicato (e decisivo) delle Grandi Riforme. Un profondo riordino istituzionale che il “giglio tragico” sembra aver copiato dal programma eversivo della P2 di Licio Gelli.
Basta mettere a confronto i due documenti per averne la riprova lampante.
Scrive Scalfari: “Napolitano chiede un esecutivo con poteri soverchianti: maggioranza assoluta, monocameralismo perfetto, capolista plurinominati (possono presentarsi in tre diversi collegi) Senato in pratica inesistente”.
E ancora: “Un Senato che può partecipare al plenum del Parlamento però non più con 300 senatori ma soltanto 100, mentre la Camera rimane ai suoi 630”.
Conclude amaro e critico il fondatore de “la Repubblica” segnando lo “strappo” con Bellanapoli: “Purtroppo il nostro presidente emerito dimentica di ricordare come avvenne la caduta di Berlusconi, l’ultima quella definitiva. Avvenne perché il Senato, dove non c’era la maggioranza assoluta della Camera, bocciò il consuntivo del bilancio. Su quella buccia di banana – rileva Eugenio – Berlusconi scivolò e alla fine si dimise temendo che al Senato non avrebbe avuto la maggioranza (…) oggi – conclude Scalfari – se non ci fosse il Senato avremmo ancora Berlusconi al governo e sarebbero trent’anni…”.
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