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Alessandro Farruggia per ''il Resto del Carlino - la Nazione - Il Giorno''
Una reiterata roboante promessa: «Al momento opportuno, e dettagliati piani sono già stati elaborati, io sono pronto a marciare su Tripoli: la nostra capitale deve essere liberata, questa è una opzione ineludibile». Una inquietante minaccia: «Sono io il primo a volere le elezioni, ma se non saranno eque l' esercito provvederà a farle abortire». E un avvertimento all' Italia: «Non possiamo che chiedere ai comandanti delle milizie di Tripoli che lasciare la Libia, con il supporto delle ambasciate, e andare a vivere lontano dai libici: c' è chi galleggia grazie all' Italia e si considera nostro nemico».
Chi vuole intendere, intenda. Il generale Khalifa Haftar, uomo forte della Cirenaica e protegè della Francia, dell' Egitto e della Russia esce allo scoperto e parla a una trentina di notabili tribali di Bengasi con un discorso ritrasmesso dall' emittente Al Hadath nel quale riafferma la sua fedeltà all' accordo di Parigi e all' obiettivo di nuove elezioni (che i francesi vorrebbero si tenessero i 10 dicembre) ma annuncia il no alla riforma costituzionale che il parlamento di Tobruk dovrebbe votare entro la fine del mese, avverte l' Italia e riconferma a tutto tondo le sue ambizioni di diventare il centro di gravità permanente della Libia. Il nuovo Rais.
CHE le elezioni si tengano il 10 dicembre è peraltro ormai solo una ambizione di Macron. Il comunicato del Consiglio di sicurezza dell' Onu riunitosi giovedì sera ignora la data del 10 dicembre, sancendo un isolamento della Francia su questo fronte e un implicito avallo alla valutazione italiana che al momento non vi siano le garanzie di stabilità per una tornata elettorale ordinata.
«Una corsa alle elezioni senza le necessarie precondizioni - ha osservato ieri il ministro della Difesa Elisabetta Trenta davanti alle commissioni congiunte Esteri e Difesa - non condurrà ad alcuna stabilizzazione ma approfondirà le divisioni già esistenti». E' quanto sostiene da sempre la Farnesina, che sta cercando, ed è dura, di recuperare un dialogo con il generale Haftar. «Il governo Serraj è il governo legittimamente riconosciuto dalle Nazioni Unite - osservava ieri il ministro degli Esteri, Enzo Moavero Milanesi - ma nel complesso scenario libico è importante continuare a dialogare con tutti.
Il generale Haftar fa parte della realtà libica e pensiamo che debba essere parte della conferenza internazionale che stiamo organizzando per novembre». La strada è stretta tanto quanto sono vaste le ambizioni di Haftar, che pur non essendo ancora riuscito di aver avuto ragione degli islamisti a Derna e pacificato Bengasi, ha mire su Tripoli. Dice che «gli scontri stanno cambiando la geografia della presenza delle milizie nella capitale e noi non permetteremo che Tripoli cada». Sostiene di essere appoggiato «da gran parte delle milizie di Misurata e da quelle di Zintan» e afferma che quando le sue forze muoveranno «la caduta della capitale sarà rapida».
Le promesse di prendere Tripoli sono una costante della propaganda di Haftar, ma l' appoggio francese, egiziano, saudita e emiratino, oltre al benevolo placet russo, non fanno dormire sonno tranquilli all' Italia. Se mai Haftar arrivasse a Tripoli, per Eni, e in generale per il nostro Paese in termini geostrategici, il conto potrebbe essere pesante. Dopo la debacle della caduta di Gheddafi, sarebbe la fine della nostre ambizioni di proiezione strategica sulla sponda sud del Mediterraneo.
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