
DAGOREPORT - DA QUESTA MATTINA CALTAGIRONE HA I SUDORI FREDDI: SE L’OPERAZIONE DI ALBERTO NAGEL…
Gianluca Di Feo per "l'Espresso"
La parola magica? "Risolviamo queste cose in altro modo, ci pensiamo noi...". A Roma c'era un posto dove i sogni diventavano realtà : un ufficio incantato dove si riusciva a far sparire le tasse. Non si nascondevano gli utili con complesse alchimie contabili, ma scomparivano le imposte già accertate: come in un incantesimo, venivano cancellati centinaia di milioni di euro che l'erario doveva solo incassare. Tanti in città sapevano, bastava chiedere in giro e ti consigliavano di rivolgerti a uno studio dei Parioli.
Non un ufficio qualsiasi, ma quello del presidente di Confcommercio: Cesare Pambianchi, notissimo nei salotti capitolini, in prima fila nelle manifestazioni ufficiali e nelle occasioni mondane, sempre sottobraccio a politici e gran commis. Sedeva nel consiglio di Aeroporti di Roma e di Fiera Spa ed era candidato alla presidenza della Camera di Commercio. Incredibile? Secondo la Guardia di Finanza, Pambianchi e i suoi complici in sette anni hanno dissolto seicento milioni di euro di tasse.
Denaro su cui lo Stato aveva già messo le mani e che invece è volato via, grazie a una formula quasi perfetta di complicità e prestanomi. Un triangolo magico - così è stato descritto dalla monumentale inchiesta del Nucleo speciale di polizia valutaria - che ha fatto la gioia di imprenditori e negozianti.
Gli atti di quest'indagine sembrano il racconto degli Harry Potter dell'evasione: dietro le porte dello studio Pambianchi si apriva un mondo virtuale, in grado di spostare qualunque cosa in una dimensione parallela: bonifici, società , obblighi erariali. Le ditte venivano intestate ad altri; intanto i reali proprietari le spolpavano di beni e utili, finché restavano solo scatole vuote inzeppate di tributi, traslocate sulle sponde del Mar Nero senza il rischio di fare bancarotta. Una nuova pista bulgara dalle porte di San Pietro fino all'Europa Orientale: oltre 200 società hanno seguito questa rotta.
E la premiata ditta dell'azzeramento tributario si preparava a sfruttare la stagione nefasta dell'economia per moltiplicare i suoi affari. A marzo Pambianchi rideva al telefono: "à un momento delle crisi e so' crisi per tutti, no? Noi quando c'è il momento de crisi, è il momento per mettè il maggior lavoro...".
Come nell'epica romana, tutto comincia con due gemelli. Questo è il ritratto che i magistrati hanno fatto di Pambianchi, "il politico", e del suo socio, il commercialista Carlo Mazzieri, "il tecnico", uniti dai giorni dell'università . Vite parallele: identici gli yacht costati 7 milioni, con posto barca a Punta Ala. Entrambi intestati a ditte straniere e formalmente in leasing, entrambi adesso sotto sequestro. Solo un indizio di quello che i provvedimenti giudiziari definiscono un lifestyle modellato sull'evasione. Un esempio?
Pambianchi e Mazzieri erano ufficialmente separati dalle mogli, ma secondo gli investigatori vivevano serenamente con le consorti: le hanno intercettate nella quotidianità di famiglia, le hanno trovate a casa assieme egli ex mariti all'alba al momento delle perquisizioni. Perché la separazione era solo un escamotage fiscale. Anche i redditi dichiarati - Pambianchi in media 250 mila euro l'anno, Mazzieri sui 150 mila - erano una miseria rispetto ai tesori milionari individuati in una selva di conti sparsi in tutta Europa.
Il loro mondo parallelo è stato distrutto da una chiavetta Usb, pochi centimetri di memoria elettronica che contenevano la contabilità segreta.
E a tradire il "triangolo magico" è stata l'unica passione che nella capitale spesso conta più dei soldi: il calcio. Nel settembre 2010 Mazzieri è corso a Monaco di Baviera per l'esordio della Roma in Champions e nella fretta si è dimenticato lo scrigno informatico dei traffici. Ha mandato l'autista a recuperarlo, ma i finanzieri sono entrati in azione nel momento giusto e hanno fatto goal in contropiede: l'elenco completo di società , depositi, prestanome, operazioni. Il ponte che univa il rispettabilissimo studio alla sua proiezione nelle peggiori nefandezze tributarie. A chiudere il cerchio hanno poi provveduto le intercettazioni, con le frasi che dimostravano il legame tra i due titolari e la centrale che svuotava le aziende tartassate e le spediva in Bulgaria. Quanto è bastato per mandare agli arresti 43 persone nella retata di giugno.
Dieci giorni fa, dopo tre mesi a Regina Coeli, Pambianchi e il suo "gemello" hanno ottenuto i domiciliari. Ormai tutto è pronto per il processo: la prima udienza è fissata per il 15 novembre. Gli avvocati preparano una battaglia serrata: l'ex presidente dei commercianti si è dichiarato innocente, Mazzieri ha preferito tacere. L'inchiesta però è tutt'altro che finita. Roberto Celli, ritenuto uno dei pilastri delle architetture societarie più malandrine, la scorsa settimana ha scelto di costituirsi dopo un'estate da latitante.
E nei registratori degli inquirenti ci sono migliaia di ore di conversazioni, con il chiacchiericcio logorroico della Roma che conta: dialoghi che possono aiutare a capire perché Pambianchi si sentisse così sicuro. Nonostante il suo nome fosse incluso nella lista Falciani di capitali svizzeri, nonostante le prime perquisizioni, era ancora convinto di potere tenere lontani i guai giudiziari.
Nei file della contabilità segreta ci sono tracce minuscole di protezioni: regalini a impiegati dell'Agenzia delle Entrate. Appare difficile però creare 703 società fantasma e sotterrare oltre mezzo miliardo di tasse senza che nessuno si insospettisca. E la fase due dell'istruttoria - affidata a un team del Nucleo Valutario che già si è distinto a Milano nelle indagini sui furbetti delle scalate bancarie - potrebbe essere altrettanto clamorosa.
Già nella prima retata sono finiti decine di big.
Come la holding delle costruzioni Di Veroli, che ha lavorato nella sistemazione delle case terremotate del centro storico dell'Aquila. Dai loro cantieri sorgono centri commerciali, parcheggi, alberghi e condomini: hanno ottenuto anche uno dei discussi "punti verdi" con cui il sindaco Alemanno vuole rivitalizzare zone periferiche della metropoli. Intanto Guido e Michele Di Veroli, eredi del fondatore, sarebbero riusciti a evitare di pagare 12 milioni di tasse grazie alle alchimie del "triangolo magico" dei Parioli.
Invece i commercianti della catena Visa Diffusione moda sono arrivati a Pambianchi & Mazzieri dopo la dritta raccolta nella comunità ebraica capitolina per "sistemare" tre milioni di imposte. I titolari hanno spiegato: "Loro sembrava, da come si presentavano, che avessero amicizie, aderenze e quant'altro... per cui il nostro problema era il debito tributario e quello dell'Inps, ci siamo affidati... Certamente non siamo stati splendidi neanche noi, però eravamo in uno dei migliori studi di Roma...".
à in questo studio dei Parioli che si è chiusa l'epopea di Aiazzone mobili, azienda rasa al suolo dagli ultimi proprietari Gian Mauro Borsano e Marco Semeraro. E che dire dell'avvocato Giuseppe Sciacchitano, un tempo intimo di Antonio Di Pietro, candidato al Senato dall'Idv e poi chiamato dal sindaco Walter Veltroni a tutelare i consumatori romani? I magistrati lo accusano per un'operazione fittizia da oltre un milione, fatto transitare sui conti della madre ultraottantenne, e per altri due milioni girati da aziende poi "affondate" in Bulgaria.
Più intricata e sorprendente la vicenda della Conad del Tirreno, che riunisce i punti vendita consorziati di Toscana e Alto Lazio, holding dove la coppia di furboni tributari rivestiva diverse cariche. Lì i finanzieri hanno ricostruito una complessa operazione su un immobile, che avrebbe permesso di sottrarre alla Conad 17 milioni. E sono saliti fino al piano più alto. Scrive il giudice: "Il presidente del Consiglio d'amministrazione e l'amministratore delegato ben consapevoli del valore fittizio hanno taciuto".
Indagini ancora aperte su Palombini, la fabbrica di caffè tra le più diffuse a Roma, "fornitori di papa Paolo VI": un capitolo dell'ordinanza è dedicato a loro, ma non sono state fatte contestazioni. Il paradosso è che sotto accusa c'è pure un istituto di vigilanza privata, la Centralpol, che fino al 2007 ha fatto sparire un milione di tributi e altri beni prima che si arrivasse all'istanza di fallimento. E a seguire una processione di industriali, ristoratori, costruttori, titolari di cliniche, albergatori, negozianti.
Tutti in coda per ottenere le prestazioni di quella che la procura di Roma considera un'associazione per delinquere: una struttura piramidale con 83 adepti. Sembra la Spectre dell'evasione. In cima i due super-commercialisti. Poi un secondo livello di professionisti, che risolvevano i problemi. Avvocati e tributaristi con studi ai Parioli e redditi ufficiali da badante, che al momento delle perquisizioni si sono preoccupati solo di vendere i loro immobili per evitare sequestri, confidando nella lentezza della giustizia.
O i creativi dirigenti della filiale Bpm di viale Giulio Cesare che avevano inventato "bonifici virtuali", in modo che i soldi delle società da svuotare arrivassero ai reali proprietari: sono state censite 130 transazioni-ombra per 27 milioni di euro. Ma almeno altre due filiali nella capitale offrivano questi servizietti, senza mai segnalare nulla di anomalo: accuse anche a Imprebanca, l'istituto creato nel 2008 da un pool di imprenditori capitolini e il cui cda era presieduto, guarda caso, sempre da Pambianchi.
Il terzo livello, la base della piramide, era composto dalla folla di prestanome che si caricavano sulle spalle le bare fiscali: pensionati nullatenenti, immigrati africani o cinesi domiciliati presso ostelli della Caritas, che però risultavano padroni di holding gravate da debiti multimilionari con l'Erario. Le ditte poi venivano sepolte, con tutto il loro carico di tasse mai pagate, soprattutto in Bulgaria, l'ultimo paese entrato nell'Unione europea. Marco Adami, dalla sua casa sul lungotevere Flaminio accanto all'esclusivo Circolo canottieri Lazio, è accusato di avere traslocato 45 società con oltre 87 milioni di imposte da saldare: è lui l'inventore della pista bulgara. Nella lista spicca il novantenne Franco Calderai, "l'ingegnere" con villetta nel verde della Cassia, e ben 61 società infarcite di cartelle esattoriali per 52 milioni.
Per riciclare i quattrini nascosti c'erano i soliti banchieri ticinesi, monegaschi, sanmarinesi o lussemburghesi. O formule innovative, come le polizze assicurative studiate su misura per offrire una sponda al riciclaggio: si sottoscrivevano in Italia ma era possibile intascare i premi in Liechtenstein. D'altronde quelli finiti agli arresti sono fior di professionisti, informatissimi sulle novità tributarie per fiutare al volo ogni possibile scorciatoia.
Gente esperta, che nell'agosto 2010 commentava al telefono un'intervista al "Sole24ore" di Nello Rossi, il procuratore aggiunto che ha diretto l'inchiesta, sul dilagare delle aziende trasferite all'estero per frodare le tasse. E scherzava sulla difficoltà di parlare con Pambianchi e Mazzieri: "Non è che so' scappati per questo...". I due invece erano sui loro panfili gemelli: uno circumnavigava la Sardegna, l'altro faceva il periplo del Salento. Sicuri di essere intoccabili. Un anno dopo, il ferragosto l'hanno passato in cella. Ma la storia giudiziaria delle loro scorrerie sulla riva più nera del Tevere andrà avanti ancora a lungo.
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