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MARIO DRAGHI E MAURIZIO LANDINI
Francesco Verderami per il “Corriere della Sera”
La priorità di Draghi è mettere in sicurezza le riforme, seguendo il crono- programma che ha impostato. Ma ora il raggiungimento dell'obiettivo si fa più faticoso, sebbene il premier sapesse che questo momento sarebbe arrivato. Le Amministrative hanno incrinato l'equilibrio su cui poggia la maggioranza, e in fondo il titolare della Difesa era stato facile profeta un mese fa: «Se il voto produrrà un risultato sbilanciato a favore di una parte - disse Guerini ad alcuni dirigenti del Pd - le ripercussioni tra partiti si scaricheranno nei rapporti e nell'azione di governo».
Ieri lo scontro sul rifinanziamento del reddito di cittadinanza in Consiglio dei ministri è stato il segno visibile della tensione che sta montando. Il punto non è capire come mai la norma contestata dal centrodestra e da Iv fosse stata tenuta «nascosta» durante la riunione preparatoria in cabina di regia.
Il tema è la friabilità del quadro politico. Finora Draghi aveva sostenuto che «gli atti divisivi non vengono dal governo» - dove è sempre riuscito a comporre una soluzione - «ma dall'attività del Parlamento», con il gioco delle mozioni usate dai gruppi come strumento di competizione. Una tattica contro la quale Palazzo Chigi aveva trovato le contromisure.
Il cambio di fase però ha indotto il premier a cambiare il metodo di lavoro che applicava fin dai tempi della Bce, e che aveva adottato con successo appena giunto alla presidenza del Consiglio. Se l'ha fatto è perché deve adesso trovare il modo di superare i problemi politici, evitando che diventino un intralcio per i suoi obiettivi. La difficoltà del passaggio è stata evidenziata dieci giorni fa dal presidente di Confindustria, in un'intervista passata (quasi) inosservata nel Palazzo: «La spinta per le riforme che aveva contraddistinto la prima fase del governo - ha detto Bonomi a Zapping - si è rallentata. E noi non possiamo permettere che la politica blocchi questo processo, perché siamo davanti a un'occasione storica».
lorenzo guerini fine della missione italiana in afghanistan 5.
Nelle stesse ore, durante una riunione di Iv, il ministro Bonetti accreditava questa tesi, riconoscendo «il rischio che ci sia chi mira a rallentare il percorso delle riforme. Per quanto possiamo, dobbiamo impedire una simile deriva: questi sono i metodi di una vecchia politica che si legittima solo attraverso la contrapposizione».
Era chiaro a chi si riferisse, così come noti i tornanti che l'esecutivo dovrà affrontare. Già la prossima settimana c'è la legge di Bilancio e Draghi sarà chiamato a una mediazione complessa: dal reddito di cittadinanza, che il centrodestra e Iv non accetteranno di rifinanziare ancora; alla flat tax e «quota Cento», che sono indigeste al blocco giallorosso. E non c'è dubbio che si arriverà a un'intesa, siccome non accadrà nulla fino alla conclusione della corsa al Colle.
Lì si concentra l'attenzione dei partiti: gli occhi sono puntati su Draghi. E il fatto che il consigliere giuridico di Mattarella, Cabras, sia passato ieri al Consiglio di Stato, è vissuto come un ulteriore segnale che l'attuale presidente della Repubblica non intende farsi rieleggere. Mancano tre mesi a quell'appuntamento. Il problema è che per allora Draghi vorrà aver completato «i compiti a casa» del governo. Il clima di tensione nella maggioranza potrebbe però rallentare l'iter delle riforme.
giovanni grasso e daniele cabras
Sulla revisione degli ammortizzatori sociali, per esempio, i partiti sono sulle barricate: altro che revisione del jobs act, il progetto di Orlando è giudicato «inaccettabile» dal leghista Giorgetti, dai forzisti e dai centristi, perché «sembra scritto dai sindacati» e «ricaccerebbe il sistema indietro di cinquanta anni». Spetterà al premier spegnere il cerino, mentre tutto il governo attende di conoscere la riforma della Concorrenza, che tocca gli interessi dei partiti e che Draghi (non a caso) tiene ancora top secret.
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