DAGOREPORT - ED ORA, CHE È STATO “ASSOLTO PERCHÉ IL FATTO NON SUSSISTE”, CHE SUCCEDE? SALVINI…
Davide Frattini per “Il Corriere della Sera”
Uno zaffiro per la fidanzata, 11 mila dollari in contanti e 1.500 di stipendio al mese (cresciuti a 2.500 quando è cresciuta la sua paura) per i 17 mesi in cui Jonathan Pollard ha trasferito documenti dal suo ufficio di analista per l’intelligence della Marina militare all’appartamento nel centro di Washington. Arredamento scarno con fotocopiatrice installata dai suoi «controllori», le spie israeliane.
Il 21 novembre Pollard avrà trascorso trent’anni in un carcere americano, è stato condannato all’ergastolo, la pena più pesante nella storia degli Stati Uniti per aver passato segreti a un alleato. I giudici potrebbero liberare con la condizionale — come già previsto dalla legge — l’uomo che tutti i primi ministri israeliani dal 1985 hanno chiesto almeno una volta a un presidente americano di rilasciare. Appello a cui tutti i hanno risposto «no», Barack Obama compreso: fra pochi mesi gli basta non opporsi alla decisione del tribunale — e il dipartimento della Giustizia ha lasciato capire che è la strategia già scelta — per ottenere un dono da elargire a Benjamin Netanyahu proprio quando la frattura tra i due Paesi sull’intesa iraniana sembra irrecuperabile.
Nell’autobiografia George Tenet, ex capo della Cia, ricorda di aver scritto a Bill Clinton: «Se concedi il perdono, mi dimetto domattina». Perché Netanyahu, al mandato d’esordio, aveva promesso prima di sedersi al tavolo per i negoziati di Wye Plantation: «Io siglo un’intesa con Yasser Arafat e tu devi liberare Pollard». Niente firma sotto l’accordo di pace e niente firma per l’amnistia.
Il rifiuto è arrivato anche da Bush padre e dal figlio. Che nel 2008 a Gerusalemme si è ritrovato a una cena di gala con Rafi Eitan, allora ministro per il partito dei Pensionati, l’agente che ha gestito Pollard. Da capo dell’Ufficio per le relazioni scientifiche, nome discreto da laboratorio per una delle sezioni più intraprendenti del Mossad, Eitan ha seguito l’operazione fin dal reclutamento, quando l’americano di origine ebraica ha offerto il suo aiuto: «Da ragazzo ho sempre voluto emigrare in Israele». Così tra i premi per le informazioni il Mossad gli ha dato la cittadinanza in una cerimonia speciale ma clandestina.
Il sogno di andare a vivere nello Stato ebraico è distrutto dall’arresto all’uscita dall’ambasciata israeliana a Washington dove aveva cercato asilo con la moglie Anne. La coppia ha divorziato e Pollard dalla prigione ha sposato Esther, un’attivista di origine canadese che fa campagna a Gerusalemme per il suo rilascio. Tra i suoi bersagli c’è proprio Eitan, accusato di aver abbandonato Jonathan (avrebbe ordinato alle guardie dell’ambasciata di buttarlo fuori per evitare una crisi diplomatica) e di averlo spremuto troppo anche quando l’americano voleva lasciare, capiva di essere seguito, la sua paranoia cresceva.
«L’appetito vien mangiando e i piatti erano così prelibati che il desiderio di averne sempre di più mi ha sopraffatto», ha provato a giustificarsi Eitan, 88 anni, che in Israele resta celebrato per aver comandato la squadra per la cattura del gerarca nazista Adolf Eichmann.
Il menu che gli serviva Pollard — ha ricostruito la Cia nel valutare il danno causato all’intelligence — comprendeva: uno studio in tre volumi sulla capacità militare saudita, immagini satellitari del reattore nucleare iracheno a Osirak dopo il bombardamento israeliano, dettagli sulle difese aeree egiziane, rapporti dalle ambasciate nei Paesi arabi. Non segreti fondamentali ma i servizi segreti americani non hanno ancora superato il trauma causato dal tradimento di Pollard a favore di un Paese alleato che avrebbe dovuto chiedere prima di sedersi a tavola.
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