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IL MONDO TREMA: SUL CONFLITTO TRA IRAN E ISRAELE, TRUMP HA L’ULTIMA PAROLA – L’AMBASCIATORE STEFANO STEFANINI: “PUÒ PERMETTERSI CHE ISRAELE FALLISCA? TRUMP OSCILLA, NELL'ILLUSIONE CHE UN IRAN UMILIATO VENGA ALLA CANOSSA DELL'ACCORDO. NON AVVERRÀ, NON È COSÌ CHE SI RAGIONA A TEHERAN” – “L'INERZIA DELLA GUERRA SPINGE VERSO LA SOLUZIONE MILITARE E ALL'APPOGGIO DIRETTO A ISRAELE” – “L'ALTERNATIVA RISCHIA L'AVVITAMENTO REGIONALE DELLA CRISI…”
Estratto dell’articolo di Stefano Stefanini per “La Stampa”
La guerra fra Israele e Iran si inasprisce e intensifica sui due versanti. Il nodo è venuto al pettine. Gerusalemme ha bisogno degli Stati Uniti per portare a termine il lavoro («to finish the job») – smantellare il programma nucleare iraniano.
Ha trovato il presidente degli Stati Uniti in altre faccende affaccendato. Si stava gustando lo spettacolo delle truppe in marcia per i viali di Washington per il 250° anniversario dell'esercito Usa e, incidentalmente, i festeggiamenti del 79° compleanno.
MISSILE IRANIANO COLPISCE TEL AVIV
La prima risposta americana è stata «no». In attesa che Donald Trump ci pensasse su? Ora lo sta facendo e non esclude nulla. Come suo solito lascia nell'incertezza. Amici e nemici. Ma sui dazi l'incertezza gioca con in mercati; qui gioca col fuoco e con la proliferazione nucleare.
Trump sperava che il calice mediorientale gli fosse allontanato. Altro per la testa. […]
Nel breve discorso col quale ha poi dato avvio all'inedita sfilata, Donald, per una rarissima volta, si è attenuto scrupolosamente al testo celebrativo. Non una parola del resto. Forse perché il resto […] era troppo e scivoloso anche per un acrobata della retorica – dire, negare, contraddirsi, ridire – come Donald Trump.
attacchi iraniani in israele 3
Circondato da un Medio Oriente in fiamme, da un'America che protestava «niente Re» a milioni scesi in piazza in centinaia di manifestazioni, da un attentato politico, dai mal di pancia dell'economia che l'avevano appena costretto a una mezza ritirata sulle deportazioni, e alla vigilia del G7 dove i suoi imprevedibili dazi fanno degli Usa l'elefante fra le porcellane dell'economia mondiale, si è consolato con un «siamo il Paese più desiderabile ("hottest") del mondo».
benjamin netanyahu e donald trump nello studio ovale
E mentre il mondo non gli da retta – Netanyahu, Putin, Xi, persino Zelensky, fanno tutti di testa loro, basta non dirglielo – si è rifugiato in tre ore di coreografia tanto spettacolare quanto inutile.
Chi ha i muscoli, come l'America, non ha bisogno di mostrarli. […]
In America il legame della gente con i militari […] si respira nella quiete di Arlington fra una selva di steli bianche nel verde, tutte uguali, all'infinito; davanti al monumento dei 58 mila caduti in Vietnam, dove c'è sempre chi appoggia un foglio di carta per ricalcare il nome di un genitore o nonno; ammirando il movimento scolpito nel bronzo del Memoriale di Iwo Jima, la statua di Felix de Weldon dei sei Marines che alzano la bandiera sul Monte Suribachi immortalante l'istantanea, sotto il fuoco, dalla Graphic Speed Graphic di Joe Rosenthal di Associated Press.
attacchi iraniani in israele 1
Sì, la stessa cui oggi è negato l'accesso alla Casa Bianca perché non ha cambiato il nome del Golfo del Messico.
[…] Questo patriottismo non ha bisogno della parata militare imposta a Washington da Donald Trump. È stata una breve evasione dalla logica di scelte scomode. Dopo lo sfoggio di apparente onnipotenza, il presidente deve ora fare i conti con i limiti di potenza reale.
Usarla o non usarla contro l'Iran? Può permettersi che Israele fallisca nell'estirpare definitivamente il dente nucleare di Teheran?
Dal momento dell'attacco israeliano Trump oscilla, nell'illusione che un Iran bombardato e umiliato venga alla Canossa dell'accordo propostogli prima che iniziasse la guerra. Non avverrà, non è così che si ragiona a Teheran o a Gerusalemme o a Riad. L'inerzia della guerra spinge verso la soluzione militare – e quindi verso l'appoggio diretto a Israele per mettere fuori combattimento gli impianti di Natanz e Fordow. Per il secondo ci vogliono le maxi-bombe anti-bunker Usa.
Questo metterebbe fine non solo alla guerra e all'atomica iraniana, forse anche al regime degli Ayatollah. L'alternativa di far continuare Israele a tempo indeterminato rischia l'avvitamento regionale della crisi. Bibi ha costruito lo scenario perfetto. L'ala isolazionista Maga non vuole che gli Usa ci entrino. A Donald l'ultima parola.
Intanto il Medio Oriente irrompe nell'agenda del G7 di Kananaskis.
Dove gli altri sei leader, sette con l'Ue, possono far sentire la loro voce al bambino capriccioso più potente del mondo. Per tenerlo fra i nostri.
Compito non facile. Buona fortuna.
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