DAGOREPORT – REGIONALI DELLE MIE BRAME! BOCCIATO IL TERZO MANDATO, SALVINI SI GIOCA IL TUTTO PER…
Francesco Bei per “la Repubblica”
All’opposizione della giunta Alemanno, assolto nel Laziogate e nello scandalo Sanità, il fondatore della Destra rivendica di aver rotto per tempo con quel sottobosco di potere, affari e vecchi arnesi dell’estremismo nero che è emerso nell’inchiesta romana. Non fa sconti ai vecchi camerati, ma nega che il Pd possa chiamarsi fuori dal «romanzo criminale».
Su Twitter lei scrive: più che un «mondo di mezzo» quello dei poteri criminali romani era un «mondo di merda». Un mondo popolato di personaggi di destra, con il terminale politico dell’allora sindaco Alemanno. Il suo vecchio camerata...
«Alt, un momento. Qui parliamo di una rappresentazione del potere, non della destra. La destra, la mia Destra, è anche uno stile di vita. Tant’è che io ero all’opposizione di quella giunta. Ma se crediamo a Pignatone, alla Mafia che si è impossessata di Roma, mi rifiuto di credere che si sia limitata al periodo 2008-2013. L’inchiesta porta ad Alemanno, ma alla fine coinvolge un pezzo del Pd romano».
È scettico sulla definizione di Mafia Capitale?
«Secondo me siamo di fronte a meccanismi di corruzioni come quelli di Expo e del Mose, non è una cosa romana. Stimo Pignatone, ma aspetto una verifica dei fatti. E mi auguro che non si debbano aspettare sette anni per poi scoprire che Alemanno non c’entra nulla».
Tutti gli uomini più vicini ad Alemanno sono pesantemente coinvolti. E lui non si accorgeva di nulla?
«Gianni è sempre stato un grande pensatore e un pessimo organizzatore. Basti pensare al suo rapporto problematico con l’orologio. Ha sbagliato la scelta delle persone, ma non mi sembra tagliato per fare il capo di un’organizzazione criminale ».
Lei era in consiglio comunale, non sentiva un’aria rancida?
«Che ci fosse un’intesa consociativa io lo denunciavo tutti i giorni. Vivevamo il paradosso di un’opposizione che avrebbe dovuto essere importante, quella del Pd, e invece non faceva nulla. Se è esistito un sistema criminale, il Pd non può chiamarsene fuori».
E comunque con Alemanno lei ruppe. Forse iniziava a sospettare qualcosa?
«Nulla di illecito se è questo che intende. Ma la distinzione c’è stata quando hanno voluto portare An dentro il Pdl e io ho fondato la Destra. Ho capito che per loro il potere era più importante dei valori, la rottura c’è stata su questo. Sono andati nel Pdl per non perdere l’autobus del governo e del potere».
... e degli affari.
«Gli affari sono la degenerazione del potere».
Alemanno era cambiato dai tempi della Destra sociale?
«Gli ho sempre rimproverato di aver alimentato speranze e illusioni a cui non ha fatto seguire nulla. C’è stato in lui un mutamento. Io ho cambiato partito, lui ha cambiato le idee».
Il Pd romano è stato subito commissariato da Renzi. Nel Pdl invece tutti zitti. Perché a destra manca questa autocritica?
«Gli errori bruciano e ognuno li ha commessi. Anche la mia amministrazione regionale ha avuto luci e ombre. Ma ne sono uscito indenne, anche se le inchieste mi hanno rovinato la presenza politica nelle istituzioni. Non si può dire altrettanto della giunta Marrazzo».
Il sindaco Marino sembra ergersi vincitore sulle macerie di un partito che in parte lo osteggiava. Non crede?
«Ma che dice? Se ne devono andare tutti a casa. Ed è vergognoso questo Orfini che cerca di intimorire il prefetto perché non sciolga il comune. Lo stesso Marino ha preso 30 mila euro da Buzzi per la sua campagna elettorale. E vogliamo parlare dell’assessore Ozzimo, di Coratti, di Di Stefano? O del ruolo di Odevaine che si intascava 5000 euro al mese? Non mi sembra gente da sciarpa littoria. Se era Mafia quella di Roma anche loro non possono chiamarsene fuori».
A questo punto il matrimonio tra la Destra e Fratelli d’Italia va in soffitta?
«Stavamo ragionando con Alemanno sulla ricostruzione di una destra in Italia. Non so se si interrompe tutto, certo il percorso sarà più faticoso».
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