DAGOREPORT – SE C’È UNO SPIATO, C’È ANCHE UNO SPIONE: IL GOVERNO MELONI SMENTISCE DI AVER MESSO…
Monica Guerzoni per il “Corriere della Sera”
Per una volta il grande comunicatore non ha voglia di comunicare.
Niente interviste, poche parole concesse con tono basso e cadenza lenta, anche quando ripete «io non mollo, non mollo». La voce di Rocco Casalino, oltre alla delusione e alla preoccupazione per la piega che ha preso la crisi di governo, tradisce una stanchezza nuova.
Dopo le dimissioni di Giuseppe Conte, nei palazzi della politica scossi dalla sfida del rottamatore all' avvocato del popolo si dice che il portavoce, anche lui, stia per annunciare il passo indietro. Matteo Renzi avrebbe chiesto la sua testa, come una delle condizioni per sedersi a un tavolo e trattare. Ma lui non si arrende: «Io non mollo manco morto. Certo non mi dimetto perché lo chiede Renzi».
Finché il giurista pugliese sarà a Palazzo Chigi, ci sarà anche lui. Perché i 5 Stelle lo hanno blindato sin dal primo giorno, quando lo imposero come tutor e vigilante del professore arrivato dal nulla. E perché lui è sicuro che, se miracolosamente Conte dovesse mai tornare premier, il rapporto di stima e reciproca fiducia che ha costruito non potrà spezzarsi per le pressioni dei partiti.
A turno Lega, Fratelli d' Italia, Forza Italia, il Partito democratico e Italia viva hanno chiesto il suo licenziamento, ma lui si è sempre fatto una risata: «Chi pensa di imporre al presidente del Consiglio i suoi collaboratori personali non sa di cosa parla e forse ha visto troppi film. Conte non ha mai pensato di cacciarmi e anche oggi è una fake news».
Sono le ore più dure per il giurista di Volturara Appula e lo sono anche per il suo spin doctor, forse il più chiacchierato e bersagliato della storia politica italiana. Ha reso «pop» l' immagine di Conte e costruito una formidabile macchina acchiappa-consensi, ma ha anche collezionato gaffe, bucce di banana e scontri plateali, innescati da qualche (imperdonabile) leggerezza.
L' ultima a metà dicembre, quando Conte e Di Maio erano in Libia per la liberazione dei pescatori di Mazara e lui si fece scappare lo screenshot della geolocalizzazione a Bengasi. «Errore del telefono», si difese il portavoce, laurea in ingegneria elettronica.
Le cronache sono piene di episodi anche pittoreschi, che Casalino - 170 mila euro di stipendio lordi l' anno contro i 114 mila di Conte premier - non rinnega e anzi a volte ostenta come medaglie. Non in queste ore nere però, in cui «Rocco» avrebbe solo voglia di gridare quello che ha dentro. Che Renzi attacca lui «per non attaccare il presidente Conte, uno che ha dalla sua parte il 70 per cento degli italiani». Che i renziani lo fanno apparire come «il deus ex machina», lo usano come bersaglio, parafulmine, scudo...
Può sembrare incredibile, ma c' è stato un tempo in cui Renzi e Casalino erano quasi amici e avevano preso a chattare via WhatsApp. Conte era da poco a Palazzo Chigi con la Lega e l' ex sindaco di Firenze, forse colpito dal talento comunicativo del portavoce, gli scrisse per complimentarsi.
Ne nacque una confidenza, persino una simpatia reciproca. Finché il capo dell' ufficio stampa della presidenza del Consiglio scrive qualcosa che fa saltare i nervi a Renzi, il quale blocca il contatto e non si fa più vivo. Lì finisce il feeling e comincia la guerra, spesso giocata con le armi dei social. «Devono confrontarsi con noi, non con gli hashtag», è una frecciata ricorrente del leader di Italia viva. Il quale ieri, appena uscito dal colloquio con Mattarella, ha di nuovo mirato al bersaglio: «Questa non è una saga, non è una fiction, non siamo al Grande Fratello... Qui siamo al Quirinale».
Tanto astio si deve a una frase che il portavoce avrebbe pronunciato conversando con alcuni parlamentari del M5S, che la riferirono a Repubblica : «Se andiamo in Senato lo asfaltiamo, come è successo con Salvini». Parole riferite a Renzi, il quale non gliel' ha perdonata nonostante la «categorica smentita» di Palazzo Chigi.
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