FLASH! - FERMI TUTTI: NON E' VERO CHE LA MELONA NON CONTA NIENTE AL PUNTO DI ESSERE RELEGATA…
Filippo Ceccarelli per "la Repubblica"
Con algida e motivata deliberazione, come in fondo era ragionevole aspettarsi, la tecnocrazia ha gelato la stagione e per qualche tempo ha seppellito il governo dei circenses. Il fatto che per indicare un fenomeno si usi ancora la locuzione di una lingua morta dice già abbastanza sull´archeologia di questo remoto, accalorato e furbo sistema di potere.
Un genere di potere che dai fasti imperiali dell´antica Roma sgangheratamente arriva al sogno olimpico interrotto del povero Alemanno; e all´illusione di amministrare l´Urbe trasformandola in una specie di disperato Luna Park ad altissima densità di stadi, luminarie, sfilate in costume, bolidi sfreccianti, casinò galleggianti, parchi tematici disneyani e altre costose baracconate a carattere pseudo-sportivo - compresa la profetica pista per sci di fondo da insediare al Circo Massimo! - per allietare e distogliere il gentile pubblico; per «tenere occupati i populi - secondo Machiavelli - con le feste e spettaculi».
Due sole cose infatti desidererebbe smaniosamente il popolo, testimonia una satira di Giovenale: panem et circenses. La variante borbonica era «feste, farina e forca», quest´ultima dismessa con la fine dell´assolutismo. E tuttavia è proprio da Napoli che occorre muovere per una eventuale, veloce ricostruzione del comando circense in era repubblicana.
In particolare dal giro beneaugurante del San Paolo che negli anni 50 il presidente del Napoli calcio, nonché sindaco della città Achille Lauro compiva prima della partita, raccogliendo il boato della tifoseria elettorale che come in un massivo rito di fertilità esaltava le doti anche anatomiche del vegliardo, «Cummanda´, vui tenite o´ pescione!» - a riprova che si tratta di faccende serie, primordiali, in cui non entrano in gioco solo voti e quattrini, ma anche i misteri del dominio e della sottomissione.
Per quanto riguarda il pane, al confronto Alemanno è un pivellino. Basti pensare che la sigla del Partito Monarchico Popolare del Comandante, Pmp, veniva correntemente letta come «Pasta Maccheroni Pomodoro» per le immani distribuzioni che se ne facevano sotto elezioni. Il primo cittadino di Roma ha offerto tutt´al più rigatoni e vino in piazza ai leghisti, con l´infelice esito che si sa, oltre ad aver patrocinato il pasto di alcuni selezionati barboni presso rinomati chef (ma lui mangiava al piano di sopra).
Più che a Lauro o al Duce, che pure sul terreno dello sport, delle feste e delle mascherate sapeva il fatto suo, l´ideologia olimpionica e l´idolatria circense alemanniana sembravano piuttosto avere alle spalle la vana speranza di combinare l´esperienza andreottiana dei giochi del 1960 con le tumultuose novità introdotte a partire dagli anni 90 dal regime delle apparenze pubblicitarie, delle rappresentazioni televisive, del consenso tanto più elementare quanto più emotivo, seriale, evoluto e personalizzato. Insomma: il berlusconismo nella sua accezione predatoria, se si vuole.
Un´intera biblioteca sta lì a documentare che il Cavaliere vinse anche perché era riconosciuto come il messia degli spettacoli, il primo leader che riusciva a commutare in politica l´energia vitale dello sport, pure come arma di distrazione di massa (come si comprese con il decreto salva-ladri presentato durante i mondiali). Che poi Berlusconi, tra un boato e l´altro, una coppa e l´altra, un giocatore e l´altro da acquistare, riuscisse a governare effettivamente è altra questione più sottile.
Ma certo Alemanno, sindaco auto-abbindolatosi attorno al più rombante futurismo Formula Uno, sempre pronto a invocare la finale Champions, la Celtic League e la corsa delle quadrighe attorno al Colosseo, il beach soccer e il body-painting sotto il Palatino, disposto a promettere uno sky-dome ai terremotati abruzzesi e ad aprire lo Zecchino d´oro ai bimbi rom, un tipo di politico che ha proposto addirittura di installare quattro isole nel mare di Ostia, sul modello del Dubai come specificato nei lucidi, beh, l´indispensabile distinzione tra il mettere in scena le Olimpiadi e guidare decentemente una città può anche sfuggirgli - e infatti gli è sfuggita di brutto.
Ma certo, ben lungi dalla misurata pazienza di un Andreotti, che nel 1960 si consentì il lusso di pronunciare il discorso inaugurale in latino, ma ben distante anche da un modernizzatore come Craxi o come De Michelis, che circa vent´anni dopo non riuscì nemmeno a candidare Venezia per l´Expo 2000, lo stile di potere circense è solo una variante del populismo. Ci saranno altri inconvenienti, ma è questo che i professori sembrano aver messo al bando, al di là di qualsiasi razionale rendiconto o previsione economica.
Troppo circo d´altra parte si è proiettato nella vita pubblica in questi ultimi anni, e dissennati. Spettacoli balordi, scimmie ammaestrate, ministri che giocano con le tigri, gabbie montate e smontate in un attimo, acrobati sul filo e in Parlamento, partite di piacere e giochi di gladiatori, una tale proliferazione di pagliacci da far sorgere anche ai più scettici, anche ai più cinici, il sospetto che fossero armi di distrazione di massa. Circenses, appunto: la parola è antichissima, ma anche per questo ancora più tenace e insidiosa.
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