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Mario Gerevini e Simona Ravizza per il "Corriere della Sera"
Il bottino su cui si sono scatenati gli appetiti dei faccendieri della sanità vale in Lombardia un miliardo di euro l'anno, quasi il 7% dell'intero budget sanitario. Sono soldi pubblici che vengono assegnati dalla Regione guidata dal governatore Roberto Formigoni come riconoscimento di attività d'eccellenza, in aggiunta ai fondi già distribuiti agli ospedali per le cure mediche prestate agli ammalati.
à un sistema di finanziamento messo sotto accusa da mesi per i suoi possibili margini di discrezionalità : ma adesso è lo stesso faccendiere Piero Daccò ad accendere i riflettori, nell'interrogatorio del 17 aprile, sulle cosiddette «funzioni non coperte da tariffe predefinite».
à una zona grigia - avevano spiegato la scorsa estate al Corriere i ben informati, subito dopo il suicidio del manager del San Raffaele Mario Cal - in cui si muovono i fiumi di denaro che alcuni chiamano consulenze, altri tangenti. Daccò ribadisce ai magistrati: «Mai dato denaro a nessuno, se non purtroppo ad una persona che non c'è più (il riferimento è con ogni probabilità a Cal, ndr)». Ma, contemporaneamente, l'uomo d'affari ammette di avere ricevuto percentuali tra il 5% e il 15% proprio sui rimborsi legati alle «funzioni non coperte da tariffe predefinite».
La distribuzione di questi bonus extra, che gli ospedali possono ricevere indipendentemente dalle prestazioni erogate ai pazienti, è regolata da 30 voci elencate di anno in anno in una delibera firmata dalla giunta di Formigoni tra luglio e agosto (come la presenza di pronto soccorso e di una cardiochirurgia pediatrica, il trasporto di neonati, lo svolgimento di prelievi e trapianti d'organo, la sicurezza delle trasfusioni di sangue, la formazione di infermieri, la complessità dei casi trattati, l'offerta di parti in analgesia).
«Daccò veniva qui a fare pressing per ottenere più fondi - ammette il direttore generale dell'assessorato alla Sanità , Carlo Lucchina -. Tutti i calcoli con cui sono stati distribuiti i soldi, però, sono inattaccabili». Ma perché, se esiste una normativa ben definita, strutture sanitarie come il San Raffaele e la Fondazione Maugeri hanno avuto bisogno di affidarsi ad intermediari con società offshore?
Dal 2004 al 2011, gli anni presi in considerazione dalla Procura, la Maugeri ha incassato come funzioni non tariffabili 155 milioni di euro. Altri 7 milioni li ha percepiti attraverso quella che è stata soprannominata «legge Daccò»: il riferimento è alla normativa per il finanziamento agli enti non profit di progetti finalizzati a miglioramenti organizzativi strutturali e tecnologici. «Ma come fa a esserci una presunta tangente da 70 milioni (pari ai fondi neri contestati a Daccò, ndr) su stanziamenti pubblici di 7 milioni?», è la difesa ripetuta più volte dal governatore Roberto Formigoni.
Ora, dagli interrogatori di Daccò, si capisce chiaramente che il terreno su cui il faccendiere si muoveva mette insieme tutti e due i canali di finanziamento: le funzioni extra budget e i progetti per il miglioramento organizzativo e strutturale. L'interrogativo su tutti adesso è: questa paccata di soldi pubblici (per dirla alla Elsa Fornero) è stata data a ragion veduta dalla Regione?
Negli ultimi tempi qualche dubbio è venuto persino ai funzionari dell'assessorato alla Sanità : con una serie di lettere, infatti, viene chiesto alla Fondazione Maugeri di dimostrare che i fondi concessi sono stati utilizzati davvero per acquistare i macchinari medici: «Per quanto concerne le attrezzature va documentato l'acquisto (con estratto conto bancario, ndr)», si legge in una delle lettere. In caso contrario la Regione minaccia di procedere al rimborso delle somme erogate. Peccato che i chiarimenti siano stati chiesti negli ultimi 5 mesi per denaro pubblico erogato nel 2008.
ROBERTO FORMIGONI FORMIGONIFONDAZIONE MAUGERI bmpELSA FORNERO
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