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Eppure due settimane fa, a margine del Consiglio Onu di New York, Barack Obama pensava di esser stato chiaro. Aveva “chiesto” a Matteo Renzi di fare un salto di qualità nel nostro impegno militare in Iraq. Di non limitarci alle ricognizioni in conto terzi e ad “illuminare” gli obiettivi che altri occidentali avrebbero poi provveduto a bombardare, ma di iniziare anche noi a sganciare bombe e sparare missili sugli insediamenti dell’Isis.
E il cazzone di Rignano sull’Arno ovviamente aveva garantito che avremmo fatto la nostra parte. Insomma, #staiserenoBarack. Così il capo della Casa Bianca se n’è tornato a Washington convinto che fosse cosa fatta e che l’Italia fosse diventata un Paese serio e affidabile.
Ecco, non esattamente. Sono passati 11 giorni dall’accordo Obama-Renzi e in Italia è tutto fermo. I vertici militari italiani, informati in tempo reale che avremmo bombardato anche noi l’Iraq (i comandi delle forze militari occidentali si parlano…) si attendevano che il governo si muovesse.
C’è da allestire i nostri Tornado in modo diverso e da preparare tante altre cosucce. Sai com’è, si chiama guerra. Mica una cazzatina. E invece niente. Che è successo? Qualcosa si è inceppato a Palazzo Chigi?
Sarà un caso, ma quando hanno visto che la commedia degli equivoci stava scivolando verso la figuraccia mondiale, i nostri generali si sono sfogati con Venturini del “Corriere della Sera”, che tre giorni fa ha rotto le uova nel paniere a Renzi e ha raccontato quello che nell’Esercito tutti sapevano: siamo in guerra.
Comunque sì, qualcosa si è inceppato e non per caso. Tornato in Italia Renzi si è reso conto che anche per cambiare missione a quattro caccia serve un passaggio parlamentare. Bisogna preparare una qualche mozione che dice che vogliamo fare la guerra a qualcuno e farsela votare, come chiede la Costituzione (E Mattarella su queste cose non fa sconti, non è certo Re Giorgio).
Solo che questo, per Renzi, significa dover affrontare la prevedibile contrarietà della sinistra pacifista e dei grillini, oltre alla totale incognita rappresentata dalla Lega e ai prevedibili mercanteggiamenti di Forza Italia. E allora il mal di pancia lo vuole affrontare, ma solo dopo che avrà portato a casa con successo la riforma del Senato.
Sì, è proprio così. Per un calcoletto meschino di politica interna il nostro premier sta prendendo in giro Obama e sta facendo fare all’Italia la figura di un paese totalmente inaffidabile.
In attesa che la Boschi porti a casuccia il risultato di Palazzo Madama, c’è anche il bel capolavoro di uno scollamento totale tra i vertici delle nostre forze armate e il governo. Il capo di stato maggiore, il generale Claudio Graziano, è un torinese riservato ma è un tipo che a bombardare non ci metterebbe un minuto. Chissà quanto rimpiange i tempi di Ignazio La Russa ministro della Difesa, del quale era capo di gabinetto. Ma come lui, tra i vertici delle Forze armate, la pensano in tanti.
GENERALE CLAUDIO GRAZIANO ROBERTA PINOTTI A PORTA A PORTA
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