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Maria Serena Natale per il "Corriere della Sera"
Nome in codice «Prism». Così gli occhi segreti della sicurezza americana raccolgono e archiviano numeri telefonici, email, foto, video, file e chiavi d'accesso di milioni di utenti abbonati al colosso telefonico Verizon e ai giganti Internet della Silicon Valley. Un «prisma» che ricorda il «panopticon» immaginato dal filosofo settecentesco Jeremy Bentham, il carcere ideale che avrebbe consentito a un unico guardiano di osservare tutti i prigionieri nello stesso momento, metafora di un potere occulto che detiene il controllo totale. Massima trasparenza e massima distorsione, il Grande Fratello nudo.
à questa fondamentale ambiguità del potere, anche in democrazia, la rivelazione più inquietante del Datagate?
«à un aspetto che senza dubbio emerge dalla vicenda, purtroppo per gli Usa non è la prima volta», dice al Corriere Evgeny Morozov, studioso di tecnologia e nuovi media nato nel 1984 in Bielorussia, oggi docente negli Stati Uniti, voce tra le più originali nel dibattito su potenzialità e lato oscuro di Internet, da sempre radicalmente critico nei confronti della retorica che esalta la Rete come fattore di democratizzazione.
Quali sono le principali implicazioni teoriche e politiche di quello che il «New York Times» ha definito un abuso di potere capace di screditare il presidente Barack Obama?
«Prima di tutto va detto che siamo di fronte a un episodio grave ma non sconvolgente per un Paese che non ha esitato a dotarsi di strumenti come i centri di detenzione di Guantánamo e Abu Ghraib per combattere la guerra al terrorismo internazionale. Dal punto di vista della filosofia di governo degli Stati Uniti non ci sono mutamenti d'impostazione. La grande domanda che dobbiamo porci alla luce dei fatti è: fino a che punto il Dipartimento di Stato potrà spingersi per proteggere i cittadini americani?».
Si è dato una risposta?
«Oggi è la tecnologia a stabilire il limite. Siamo immersi in quel clima patologico nel quale, in linea teorica, proprio l'avanzato livello raggiunto dalle tecnologie rende legittimo, se non necessario, abusarne. Nessun governo rinuncerà volontariamente a strumenti d'indagine sempre più sofisticati».
Una logica a spirale che non lascia intravedere vie d'uscita.
«Infatti non credo che il Datagate cambierà l'approccio dell'intelligence. C'è il pieno sostegno del Congresso, la Nsa può proseguire le sue operazioni. Non siamo di fronte a una sfida per la democrazia americana».
Nessuna revisione del Patriot Act.
«Gli attivisti rilanceranno ragionevolmente il dibattito, ma è difficile che cambi qualcosa. D'altronde i social network sono ormai parte integrante della vita di tutti noi e ci siamo perfettamente adattati a un sistema che utilizza informazioni sulle nostre abitudini e i nostri consumi a fini pubblicitari.
La maggioranza delle persone ha già accettato implicitamente il principio della violazione della privacy. Perché opporsi quando si tratta di sicurezza nazionale, di risposte alla paura, di dati che potrebbero contribuire alle indagini sugli attacchi di Boston?».
Prevede ricadute a livello politico internazionale?
«Questo è il terreno sul quale si giocherà la partita più importante. I dati che passano dai server della Silicon Valley provengono anche dall'Europa, da privati cittadini, associazioni, governi... soggetti che da questo momento si fideranno meno delle grandi compagnie americane. Molti cominceranno a domandarsi quanto siano effettivamente confidenziali certi scambi di informazioni».
Quale sarà l'impatto su relazioni più delicate come con la Cina? Proprio in queste ore si apre la due giorni di Palm Springs tra Obama e il presidente Xi Jinping.
«La principale preoccupazione in questo momento dev'essere il danno d'immagine per gli Stati Uniti agli occhi di Paesi come Cina e Iran. La vicenda indebolisce molto la posizione di Washington in tema di libertà fondamentali e diritti umani».
Lei ha osservato da vicino le interazioni del potere con le tecnologie nei regimi autoritari che in Rete sorvegliano, censurano, veicolano messaggi politici. Che conseguenze può avere per i sistemi autocratici quest'indebolimento dell'immagine Usa?
«Slega le mani a governi che fondano l'ordine sociale su un controllo capillare. Come possono ora gli Stati Uniti essere credibili quando criticano le autorità di Teheran o invitano Pechino a politiche più morbide sulla repressione del dissenso?».
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