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Virginia Piccolillo per il "Corriere della Sera"
È il giorno della resa dei conti sulla Procura di Milano. Il plenum del Csm oggi dovrà decidere se archiviare del tutto le accuse del pubblico ministero Alfredo Robledo al procuratore Edmondo Bruti Liberati, segnalarle per eventuali sanzioni, metterle da parte in vista della riconferma, oppure ignorarle e trasferire l’accusatore. E dal Quirinale arriva un appello al vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura, Michele Vietti.
Una lettera con la quale, secondo le indiscrezioni di Palazzo dei Marescialli, il capo dello Stato (che è anche presidente del Consiglio superiore della magistratura) raccomanda di non uscire dai binari della riforma dell’ordinamento giudiziario del 2006. Allora venne stabilito che il ruolo e i poteri del procuratore della Repubblica dovessero essere rafforzati in virtù di un’organizzazione verticistica degli uffici giudiziari nell’assegnazione delle inchieste, nell’esercizio dell’azione penale e nell’impostazione delle indagini.
Un richiamo che dovrebbe tenere il caso al riparo da strumentalizzazioni su una Procura impegnata in indagini delicate i risultati delle quali, secondo il procuratore generale di Milano Manlio Minale, non sono stati inficiati dai problemi organizzativi.
Ma è chiara la delicatezza di una decisione che dovrà valutare, tra l’altro, se assegnare il caso Ruby a Ilda Boccassini, anziché all’aggiunto competente dei reati sulla Pubblica amministrazione, Robledo, sia stata o no una violazione delle procedure. Così come dimenticare in cassaforte un fascicolo.
A 24 ore dalla discussione, sono state depositate due relazioni di minoranza, che si opporranno a quelle passate nella prima commissione (sui trasferimenti) e nella settima (sull’organizzazione degli uffici). Entrambe di rilievo. In una Angelantonio Racanelli (Magistratura indipendente) accusa di «lacunosità» l’istruttoria svolta e chiede un supplemento di indagini. Secondo il consigliere togato «alcune vicende pongono dubbi sull’indipendente e imparziale esercizio delle funzioni».
Nella relazione di 90 pagine, Racanelli descrive «il quadro di un procuratore che ha esercitato le sue funzioni in modo non pienamente conforme al modello risultante dalla normativa primaria e dalla normativa secondaria di riferimento». «Il procuratore capo non può fare ciò che vuole: deve rispettare la legge ma anche i criteri organizzativi e in ogni caso i suoi provvedimenti devono essere motivati», scrive Racanelli. Invece Bruti avrebbe compiuto «ripetute omissioni della doverosa interlocuzione» con il pool di Robledo.
Ad esempio sul San Raffaele e sul caso Ruby ter (con Silvio Berlusconi indagato), l’assegnazione è risultata «priva di motivazione». Le «vicende Sallusti e Podestà — accusa — evidenziano il profilo di un procuratore non particolarmente attento al rispetto dell’autonomia e della dignità professionale dei magistrati e degli indagati e/o condannati».
Di opposto segno l’altra relazione di minoranza. Il laico di centrodestra Nicolò Zanon e Nello Nappi chiedono addirittura il trasferimento di Robledo perché proprio la sua denuncia, per le tensioni che ha determinato, renderebbe impossibile la sua permanenza in quell’ufficio. Quanto a Bruti secondo i due consiglieri va difeso proprio per il modello di Procura gerarchizzato che ha adottato. E in linea con Napolitano oggi al plenum chiederanno agli amici «moderati» di non buttare a mano la riforma che modera i poteri dei pm, per regolare i conti con Magistratura democratica.
Restano poi le relazioni dei presidenti della prima e della settima commissione, che chiedono la trasmissione degli atti alla commissione Incarichi direttivi perché se ne tenga conto quando si valuterà la riconferma chiesta da Bruti Liberati (l’incarico scade a luglio) e da Robledo.
2.I MALUMORI NEL CONSIGLIO E LA MEDIAZIONE DI VIETTI
Giovanni Bianconi per il "Corriere della Sera"
Quando tre settimane fa il vice-presidente del Consiglio superiore della magistratura rilasciò un’intervista a La Stampa per schierarsi dalla parte del procuratore Bruti Liberati, l’indomani molti componenti dell’organo di autogoverno espressero pubblicamente il loro «disagio». Per via di un’anticipazione di giudizio piuttosto esplicita, e dell’indicazione della strada da seguire.
«La riforma dell’ordinamento ha concentrato nella sola figura del procuratore capo la titolarità dell’azione penale», aveva detto Vietti. E ancora: «La Procura di Milano è un simbolo del contrasto all’illegalità. Aver accreditato che lì si violino le regole ne pregiudica l’affidabilità».
Ovviamente ai consiglieri non era sfuggito che quelle dichiarazioni erano seguite a un’ora di colloquio, al Quirinale, tra il vicepresidente e il capo dello Stato. Segno di una comunanza di pensiero e di posizioni che ieri ha ripreso forma con la lettera inviata di Napolitano a Vietti.
Facendo riemergere lo stesso «disagio» di tre settimane fa. Che per qualcuno s’è trasformato in irritazione, per il metodo e il merito dell’intervento. Perché una missiva e non parlare, semmai, direttamente al plenum ? E perché questo ulteriore tentativo di pressione sulle scelte del Consiglio, in una vicenda così ricca di implicazioni e alla vigilia di importanti scadenze come l’elezione del nuovo Csm? Infine ci sono preoccupazioni anche sulla sostanza del messaggio affidato da Napolitano a Vietti: l’eccessiva accentuazione del ruolo del procuratore può portare a una visione ipergerarchica dell’ufficio del pubblico ministero che non tutti condividono.
In realtà la lettera del capo dello Stato contiene già le risposte a questo tipo di critiche. Perché conferma che il Csm adotterà le deliberazioni che riterrà più opportune, ma per quanto lo riguarda il presidente ha già espresso con chiarezza la sua posizione — proprio davanti al Consiglio — esattamente cinque anni fa, il 9 giugno 2009. Il pensiero è rimasto lo stesso e Napolitano lo ribadisce.
«Occorre avere di mira il superamento di elementi di disordine e di tensione che purtroppo si sono clamorosamente manifestati in tempi recenti nella vita di talune Procure, e ciò non è possibile senza un pacato riconoscimento delle funzioni ordinatrici e coordinatrici che spettano al capo dell’ufficio», disse allora il presidente, ricordando lo scontro tra gli uffici di Salerno e Catanzaro.
Oggi gli scontri si sono trasferiti altrove, con modalità diverse, ma la sostanza delle soluzioni per Napolitano resta la stessa. E passa per il «puntuale espletamento», previsto dalla legge, «da parte dei procuratori, dei poteri di direzione, controllo e organizzazione». Peraltro sottoposti alla vigilanza del procuratore generale.
Nella vicenda milanese, proprio il pg ha riferito che le divisioni interne alla Procura «non hanno avuto una conseguenza negativa sulle indagini o sui procedimenti, non si è parlato di nascondimento di notizie di reato o di insabbiamento, o di tentativo di non svolgere indagini che sono sempre state svolte, e bene, con grande impegno, compiutamente e in tempi più che ragionevoli».
Ciò significa, anche se il capo dello Stato non entra nel merito del caso specifico, che un controllo su quanto è accaduto c’è già stato. E altri ce ne saranno, a cominciare dal momento in cui si dovrà rinnovare o meno l’incarico al procuratore Bruti Liberati.
Così funziona il sistema e di questo il Consiglio dovrebbe tenere conto, ricorda Napolitano parlando in linea generale. Ma tutti hanno pensato, inevitabilmente, alla circostanza particolare. Col rischio di condizionare il dibattito e sollecitare frizioni tra il Csm e il suo presidente.
Per questo i consiglieri hanno chiesto di non dare lettura della lettera. Vietti deciderà oggi, dopo aver verificato che nelle ultime versioni dei documenti da votare non ci siano contenuti che si allontanino troppo dai criteri ricordati dal Quirinale. Nel tentativo di arrivare a una soluzione più condivisa possibile.
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