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Andrea Tarquini per "La Repubblica"
Cinquecento euro a testa, più un visto o documento di viaggio valido tre mesi per tutta l'area di Schengen, quella vasta parte dell'Unione europea in cui si viaggia senza frontiere. In cambio, l'impegno: lasciate il territorio italiano, andate altrove in Europa, magari in Germania. Secondo il ministero dell'Interno federale tedesco, è andata così.
L'offerta è stata avanzata dalle autorità italiane a centinaia, forse migliaia di africani, giunti da noi fuggendo dalla Libia in preda alla guerra civile, quando esauriti i fondi europei, centri d'accoglienza italiani hanno dovuto chiudere. «Adesso stiamo trattando con Roma, a metà maggio gli italiani si sono detti disposti a riaccogliere i migranti, restiamo in contatto per un intenso scambio d'informazioni», rassicura Berlino.
Ma la frittata dell'ennesima incomprensione e dissapore è fatta, e chiunque abbia più ragione o meno torto, alle spalle dei poveri africani l'immagine già discussa dell'Italia in Germania - sullo sfondo di eurorecessione drammi sociali nel sud dell'eurozona, tensioni politiche ovunque, elezioni imminenti in Germania - ha inevitabilmente subìto un colpo.
Non si sa nemmeno quanti siano: oltre trecento solo ad Amburgo, chi sa quanti in altre città della Repubblica federale, o magari anche altrove nel nord ricco della Ue. Del caso,
Repubblica aveva parlato per prima a marzo in corrispondenza dalle città italiane che ospitano o ospitavano i centri. Il problema può porre anche rompicapi di diritto internazionale.
Perché i poveri africani ebbero da noi lo status di rifugiati, in quanto appunto scappavano dalla brutale guerra civile in Libia tra gheddafisti e ribelli. E dal diffuso, violento razzismo dei libici contro i migranti economici di colore. Un rifugiato, se è perseguitato in patria, non può essere rimpatriato a rischio di morte. Ma appunto loro fuggivano da Tripoli. Non da Nigeria, Ghana o Togo, i loro paesi d'origine classificati come democratici, da cui erano andati in Libia per scampare alla povertà .
«Il problema è che da noi non possono avere status di rifugiati, né permesso di soggiorno o lavoro, né sussidi del welfare», spiegano le autorità tedesche. Quindi, neanche accoglienza nei molti centri per rifugiati ed esuli. Già colmi qui di afgani, iraniani, siriani, e povere vittime di tante altre dittature o guerre. Di molti di loro si occupano le organizzazioni caritative tedesche.
«Ma se i presupposti per un pieno status di permanenza legale qui non sussistono», spiegano i portavoce tedeschi, «il loro diritto di viaggio entro l'area Schengen non può essere rivendicato, e si possono prendere in considerazione misure che pongano termine al soggiorno». Berlino, insistono le fonti di qui, «dialoga con le autorità italiane su questi temi, ci hanno spiegato che in casi del genere, come previsto dalla legge, sono disposti a riaccogliere i migranti».
Adesso i poveri africani, quasi evocando i "Dannati della Terra" di Frantz Fanon, vivono o in rifugi delle chiese o accampati in strade, nella fredda Germania dove la primavera tarda. «Tutto ciò nonostante la competenza per la loro assistenza fosse delle autorità italiane», come è per il primo Stato Schengen dove un "esterno" arriva.
Trattative in corso, insomma, vedremo. Il dramma dei poveri africani ha molti lati oscuri. Anche il fatto che - rivela l'agenzia di stampa tedesca Dpa - a marzo il ministro dell'Interno federale, Hans Joachim Friedrich, conservatore bavarese, aveva informato in circolari riservate i responsabili di tutti i 16 Stati (Bundeslaender) tedeschi degli arrivi imminenti dall'Italia. Ma in circolari riservate.
Adesso le elezioni politiche federali del 22 settembre si avvicinano, ed è magari malizioso ma facile immaginare che parlarne in pubblico serva.
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