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Marco Travaglio per il “Fatto quotidiano”
Forse, alla notizia della condanna a 2 anni in primo grado del senatore Denis Verdini per corruzione, i nostri lettori si attenderanno il commento che sempre facciamo in questi casi: e cioè che in un paese men che decente il senatore in questione, pur protetto dalla presunzione di non colpevolezza fino a condanna definitiva, si dimetterebbe dal Parlamento e tenterebbe di farsi assolvere in appello e in Cassazione da privato cittadino (assolvere nel merito, si capisce, rinunciando alla prescrizione); e, se non lo facesse sua sponte, verrebbe costretto a farlo dal suo partito (Ala) o almeno dai suoi alleati (il Pd e - non ridete - l' Ncd); e, in ogni caso, d' ora in poi nessuno chiederebbe o accetterebbe più i suoi voti, nè lo sfiorerebbe nemmeno con una canna da pesca.
Tutto vero e giusto, per carità. Ma siamo un po' stufi di ripetere le stesse cose all' infinito, quindi diamole per lette. E proviamo a calarci in quell'orrendo cinismo, che i nostri uomini di mondo chiamano "realismo" e che regola da almeno due decenni la cosiddetta politica in Italia: un governo ci deve pur essere, quel governo per esserci ha bisogno di numeri, quei numeri senza Verdini e le sue truppe raccogliticce non ci sono (almeno al Senato), dunque il fine giustifica i mezzi e ci teniamo Verdini.
Ecco, se Renzi andasse in tv e facesse questo discorso, noi non ci faremmo comunque infinocchiare (in democrazia, se il governo non ha i numeri e non vuole comprarseli un tanto al chilo, si vota). Ma almeno gli riconosceremmo la dote della franchezza e del coraggio.
E nessuno in Parlamento, a parte i 5Stelle e Sel, potrebbe obiettargli nulla né nella destra ex-berlusconiana nè nel suo partito, visto che l' attuale minoranza Pd quand' era maggioritaria fece un governo con B. già condannato in appello per frode fiscale e in primo grado per prostituzione minorile e concussione, e lo implorò di restare anche dopo la condanna definitiva per il primo reato.
Purtroppo temiamo che il premier questo discorso non lo farà mai: sia perché non vuole ammettere ciò che tutti sanno e vedono, ma che lui nega, e cioè che Verdini è l'architrave del governo, a cui negli ultimi due mesi ha respinto una sfiducia e ha addirittura votato una fiducia; sia perché Renzi non vuole fare i conti con la sentenza di ieri, che infatti è stata accolta dal suo silenzio tombale, coperto dai soliti gargarismi dei cortigiani sulla presunzione d' innocenza. Quel silenzio ha solo due spiegazioni. Una è il gigantesco imbarazzo per un verdetto tutt' altro che inatteso da chi conosce le carte del processo.
L'altra è il timore di guastare una vecchia amicizia che nessuno ha mai chiarito quando sia nata e perché. Non che occorresse questa sentenza per farsi un' idea su Verdini: bastano e avanzano i suoi cinque (diconsi 5) rinvii a giudizio per delitti gravissimi (dalla bancarotta fraudolenta all' associazione per delinquere, dalla loggia segreta alla corruzione), molto simili ai suoi metodi spregiudicati di "facilitatore" del governo mediante il reclutamento di voltagabbana passati da destra al centrosinistra in cambio di posti e favori (non si sa se in dissenso o d'intesa con B., tallonato dal filorenziano Confalonieri, casualmente condannato in primo grado pure lui proprio ieri insieme a Pier Silvio).
La sentenza però racconta di un sistema di corruttela sull'appalto della nuova Scuola dei Marescialli di Firenze, che aveva già visto condannare in via definitiva i funzionari delle opere pubbliche Balducci e De Santis e i costruttori De Vito Piscicelli e Fusi, quest' ultimo amico d' infanzia di Verdini. Il senatore, secondo l' accusa, si attivò col plurindagato ministro Matteoli perché l' impresa di Fusi tornasse in possesso dei cantieri della Scuola e perché De Santis diventasse Provveditore alle opere pubbliche toscane e l' aiutasse nell' impresa illecita. Persino gli avvocati di Verdini, pur negando la sussistenza del reato, hanno dovuto ammettere che il cliente "segnalò" Fusi a Matteoli e poi "comunicò a Fusi l' avvenuta nomina".
Un abuso di potere bello e buono: le cariche pubbliche si devono assegnare per concorso, in base al curriculum e al merito, non alle raccomandazioni dei politici. Renzi, che si vanta di combattere la corruzione come nessun altro mai, dovrebbe commentare questi fatti, ammessi dalla stessa difesa Verdini, a prescindere dalla rilevanza penale o dalla prescrizione (che scatterà a luglio). E dirci se li ritiene compatibili con i doveri di "disciplina e onore" imposti dalla Costituzione a chi ricopre "funzioni pubbliche".
In alternativa, potrebbe sempre sostenere che la Procura e il Tribunale di Roma hanno seviziato l' imputato e i suoi difensori coartandone il libero arbitrio al punto di indurli a confessare cose mai fatte: un gravissimo delitto che dovrebbe comportare la denuncia penale e disciplinare per i magistrati torturatori. Se invece Renzi non dirà e non farà nulla di tutto ciò, dovremo concluderne che della corruzione non gliene frega niente e gl' importa solo il potere, a qualunque costo.
Nel qual caso ci sarebbe da attendersi le immediate dimissioni del giudice Alfonso Sabella, appena nominato "consigliere anticorruzione" del premier; e un vibrante intervento del presidente dell' Anticorruzione Raffaele Cantone. L' altro giorno, non si sa bene a che titolo, il loquace Cantone ha difeso le primarie truccate del Pd a Napoli e criticato Bassolino per aver osato contestare il respingimento dei suoi ricorsi: a maggior ragione, la presenza decisiva di un condannato per corruzione nella maggioranza di governo e nel Pantheon dei Padri Ricostituenti non potrà certo lasciarlo insensibile e silente.
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