DAGOREPORT – SE C’È UNO SPIATO, C’È ANCHE UNO SPIONE: IL GOVERNO MELONI SMENTISCE DI AVER MESSO…
Giuseppe Sarcina per corriere.it
Il sentimento anti-cinese sta diventando rapidamente azione politica al massimo livello. Nella serata di giovedì 30 aprile, Donald Trump è tornato a ipotizzare che il Covid-19 sia stato prodotto da un laboratorio di Wuhan: «Lì deve essere successo qualcosa di terribile. Può essere stato un errore, qualcosa che si è sviluppato inavvertitamente, oppure qualcuno lo ha fatto di proposito».
Secondo quanto riportato dall’agenzia Reuters, quando a Trump è stato chiesto se avesse visto prove in grado di fornirgli quella che lui ha definito «un alto grado di sicurezza» riguardo l’origine del virus nell’Istituto di virologia di Wuhan, il presidente ha risposto «sì, sì, le ho viste», precisando però di «non poter parlare oltre». La comunità scientifica ritiene che lo scenario più probabile prefiguri l’origine naturale del virus, passato dagli animali agli uomini.
E anche l’Ufficio della DNI, la Direzione Nazionale dell’Intelligence esclude che il Coronavirus sia stato «costruito» tra le provette: le agenzie federali, si legge in una nota, «concordano con il largo consenso scientifico riguardo al fatto che il virus che causa Covid-19 non è stato fabbricato dall’uomo o geneticamente modificato». Tuttavia la DNI, l’agenzia ombrello dei servizi segreti americani, fa sapere che l’indagine sull’origine della pandemia va avanti: «La comunità di intelligence continuerà a esaminare in modo rigoroso ogni tipo di informazione per determinare se la pandemia trovi la sua origine da contatti con animali infetti o da un incidente in un laboratorio a Wuhan».
Il super risarcimento
In ogni caso, dolo o colpa che sia, Trump ha detto nella conferenza stampa di lunedì scorso 27 aprile che gli Stati Uniti vogliono «centinaia di miliardi di dollari» da Pechino, come riparazione ai danni causati dalla diffusione della pandemia. Più volte, in queste settimane, il Segretario di Stato Mike Pompeo ha accusato «il Partito comunista cinese» di aver nascosto i dati sul virus, impedendo al resto del mondo di agire per tempo. È una posizione largamente condivisa nel partito repubblicano a Washington, tra i parlamentari e nella fitta rete di think tank conservatori consultati dai consiglieri di Trump.
Le battaglie legali dei governatori
La spinta arriva anche dalle profondità del Paese. Il governatore del Missouri, Mike Parson, ha deciso di citare in giudizio il governo cinese. Farà la stessa cosa il suo collega del Mississippi, anche lui repubblicano. È già un passaggio importante e politicamente delicato, poiché si passa dalle «class action», cioè dalle cause promosse da gruppi di privati, a iniziative giudiziarie intraprese da istituzioni americane. Secondo il Washington Post ci sono diverse opzioni allo studio. Tutte sono incardinate sulla necessità di superare l’immunità degli Stati sovrani, in modo da costringere la Cina a rispondere dai danni causati.
«Cancellare il debito»
Trump cerca anche un argomento forte da utilizzare nella campagna elettorale. Resta da capire, però, quali potrebbero essere le ipotesi percorribili nel concreto. C’è chi pensa di cancellare parte del debito contratto dal Tesoro americano con il grande Paese asiatico.
Lo spunto viene dalla proposta avanzata da Marsha Blackburn, senatrice repubblicana del Tennessee: cancellare il rimborso dei titoli in scadenza e/o non versare gli interessi (mediamente pari all’1,2%) sui 1.100 miliardi di «Us Bond» in possesso dei cinesi. Il senatore repubblicano Tom Cotton, invece, uno degli interlocutori più assidui del presidente, chiede di «sganciare l’economia americana da quella cinese» e vuole farlo per legge, imponendo alle multinazionali statunitensi attive in Cina di rientrare. Lindsey Graham, altra sponda al Senato del presidente, preme perché Pechino venga «punita».
Rapporti a rischio
È evidente che sarebbero decisioni dall’impatto potenzialmente devastante sulle relazioni tra le due superpotenze economiche mondiali. Trump vorrebbe preservare il rapporto personale «eccellente» con il presidente Xi Jinping. Ma oggettivamente è difficile immaginare che il leader cinese possa abbozzare. Un conto è negoziare equilibri commerciali un po’ più sfavorevoli; altro è acconsentire di essere «processato» come il primo responsabile, l’untore numero uno del contagio mondiale.
Pechino ha già reagito furiosamente all’idea australiana di costituire una commissione d’inchiesta internazionale in grado di inviare ispettori indipendenti a Wuhan per investigare sull’origine della infezione. Ieri un portavoce del ministro degli esteri cinese, Geng Shuang, ha dichiarato: «Gli Usa dovrebbero sapere che il loro nemico è il Covid-19, non la Cina. Vogliono chiamarci a rispondere della nostre presunte responsabilità? Non ci sono basi legali, non esiste un precedente internazionale».
L’Europa (e i sondaggi)
Gli americani stanno lavorando anche per linee esterne, sondando gli alleati europei, a cominciare dalla Cancelliera Angela Merkel, che la settimana scorsa aveva chiesto «trasparenza» ai dirigenti del Partito comunista cinese. Trump, come sempre, tiene d’occhio i sondaggi. L’ultima rilevazione approfondita è quella del Pew Research Center, pubblicata il 22 aprile. Il 66% degli interpellati diffida apertamente della Cina, contro il 26% di bendisposti.
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