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Carlo Di Foggia per il “Fatto Quotidiano”
franco bassanini pier carlo padoan
Alla fine il Tesoro getta la spugna ma si tiene le mani libere: la clausola di onorabilità non verrà ripresentata. S'intende quella che imponeva paletti più severi per l'ineleggibilità o decadenza dei vertici dei colossi statali quotati in Borsa - Eni, Finmeccanica e Terna - indagati o condannati per alcune fattispecie di reati. Il ministero guidato da Pier Carlo Padoan - azionista di controllo di queste società – se l'era vista bocciare nel maggio scorso: come rivelato dal Sole 24 Ore, non ha intenzione di riproporla nelle assemblee degli azionisti previste per il prossimo mese.
La spiegazione che ieri filtrava dal Tesoro è questa: visto che l’hanno respinta una volta, e gli azionisti sono rimasti più o meno gli stessi, non ha senso che la ripresentiamo. Difficile anche che rimanga come norma di comportamento del Tesoro, in quanto azionista di controllo (non si nominano imputati e si fanno dimettere i condannati): se e quando si verificheranno casi specifici, valuteremo, spiegano al Fatto da via XX settembre.
In sostanza la clausola di onorabilità è ormai lettera morta. Più che pragmatica, la scelta è politica, trattandosi di una norma del governo, seppur ereditata dall'esecutivo Letta. A oggi solo Enel ha introdotto nello statuto la clausola con i requisiti stabiliti dalla “direttiva Saccomanni” del giugno 2013. Quella che prevede l'ineleggibilità o la decadenza dei vertici in caso di condanna, anche solo di primo grado, per i reati previsti dalle norme sull'attività bancaria, finanziaria, mobiliare, assicurativa; dalle disposizioni penali su società e consorzi (come false comunicazioni sociali, infedeltà patrimoniale, ostacolo alla vigilanza) e dalla legge fallimentare; per quelli contro la Pa (come la corruzione) e in materia tributaria; e per i reati di associazione a delinquere per riduzione in schiavitù, prostituzione e pornografia minorile e associazione di stampo mafioso. Serve la condanna definitiva solo per il danno erariale doloso.
Anche il solo rinvio a giudizio basta per l'ineleggibilità, e se questo arriva nel corso del mandato il cda deve convocare l'assemblea dei soci, a cui spetta la riconferma dell'amministratore, che altrimenti decade.
SI CHIUDE così una vicenda iniziata oltre due anni fa, dopo le rivelazioni sull'inchiesta per corruzione internazionale che coinvolse l'ex ad di Finmeccanica Giuseppe Orsi (arrestato nel febbraio 2013, e assolto in primo grado dall'accusa più grave, la corruzione). L'8 maggio 2014 l'assemblea Eni, egemonizzata dall'allora ad Paolo Scaroni (poi sostituito da Matteo Renzi con Claudio Descalzi), ha respinto la proposta di modifica. Nello stesso mese lo hanno fatto anche le assemblee del colosso degli armamenti Finmeccanica e di Terna - che gestisce la rete elettrica nazionale - con il voto decisivo dei fondi d’investimento. Per modificare lo statuto servono infatti i 2/3 del capitale sociale presente in assemblea straordinaria, cioè il 70 per cento. Non proprio un quorum irraggiungibile, tanto più che nel caso di Eni i voti favorevoli sono arrivati al 59,5 per cento. Bastava convincere il 20 per cento dei voti controllati dai fondi per avere il via libera.
Che non fosse un’impresa impossibile lo si era capito dalle assicurazioni del Viceministro Enrico Morando nel dicembre scorso: “Il Ministero è impegnato a superare questa situazione affinchè la clausola venga inserita negli statuti di Eni e Finmeccanica”. Il governo non ha però intenzione di riprovarci.
GIÀ NELL’APRILE 2014, Scaroni aveva attaccato duramente i nuovi paletti: “Saremmo i primi al mondo a fissare questi requisiti”, che coinvolgono società fortemente esposte ai mercati esteri e quindi a possibili casi di corruzione. Le norme però c’erano già, frutto di una lunga consultazione in Parlamento. Ora sono vincolanti solo per il nuovo cda di Enel, guidato da Francesco Starace. restano fuori i nuovi vertici nominati ad aprile 2014 dal premier. Eni è coinvolta in due inchieste per corruzione internazionale - una per presunte tangenti pagate dalla controllata Saipem in Algeria, l’altra per presunte tangenti in Nigeria - aperte dalla Procura di Milano. Scaroni è indagato in entrambe, mentre il nuovo ad Claudio Descalzi solo per quella che riguarda la Nigeria.
mauro moretti emma marcegaglia
Dopo quest’ultima rivelazione Renzi lo ha difeso: “Rifarei la scelta”. Quanto a Finmeccanica, l'ad Mauro Moretti è stato rinviato a giudizio nell'ambito dell'inchiesta sulla strade di Viareggio con i reati ipotizzati di disastro ferroviario colposo, l'incendio colposo, l'omicidio e le lesioni colpose plurime. Reati questi che però non figurano nell'elenco della direttiva. Ora il governo ha le mani libere, nonostante si tratti di norme in parte già previste per società statali non quotate, banche (sospensione dopo condanna) e per le assicurazioni.
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