DAGOREPORT - ‘’RESTO FINCHÉ AVRÒ LA FIDUCIA DI GIORGIA. ORA DECIDE LEI”, SIBILA LA PITONESSA. ESSÌ,…
DAGOANALISI
"Basta con la sedia presidenziale!", proclama l'inquilino del Quirinale.
Nelle prossime apparizioni pubbliche Re Giorgio scenderà dal "tronetto" per andarsi a sedere tra i comuni mortali.
La notiziola è di quelle che i media hanno registrato forse senza cogliere il forte impatto simbolico di una scelta che segna anche una forte discontinuità con il primo settennato del capo dello Stato.
E nello stracciare il vecchio cerimoniale, Napolitano sembra muoversi anche sulla via "rivoluzionaria" di Papa Bergoglio che a un'udienza-evento dell'estate scorsa, disertandola per varie ragioni, lasciò vuoto il suo scranno pontificio mettendo nel panico i conservatori della Curia, che forse ancora rimpiangono le sedie gestatorie di Pio XII che dopo secoli furono abolite soltanto nel 1978 da Karol Wojtyla.
E tra le immagini-simbolo che hanno fatto il giro del mondo c'è anche quella del bimbo colombiano che in piazza San Pietro e di fronte ad oltre duecentomila fedeli "ruba", occupandola materialmente, la sacra sedia d Papa Francesco.
La rivoluzione bergogliana dei piccoli gesti, insomma, deve aver contagiato pure Re Giorgio, che manda il "tronetto" a fare legna da ardere nei sotterranei del Quirinale.
Del resto, l'uso politico dei rituali rappresenta da sempre un "legame forte" tra il passato e il futuro.
Secondo poi alcuni studiosi della materia (capostipite il sociologo tedesco Emile Durkeim) la stessa "stabilità politica" può dipendere dalla capacità di creare e di mantenere in vita una "particolare combinazione di simboli, miti e riti". Almeno nei secoli passati.
Fino ad aggiungere che certi riti (o atteggiamenti) possono (ri)legittimare il proprio potere nel momento in cui esso viene fortemente contestato.
Tant'è.
Dagospia, pur tenendo per buone le ragioni (deboli) della sociologia (politica) non arriva al punto d'immaginare che Re Giorgio abbia rinunciato al simbolo del "tronetto" perché incalzato dai grillini che ne reclamano in Parlamento la testa (impeachment).
Un'eventualità che, tra l'altro, non ha alcuna possibilità di trovare udienza alle Camere. E non sembra incontrare grandi accoglienze neppure tra i milioni di elettori del Movimento Cinque Stelle. Nonostante i proclami urlati a mezzo stampa, la coppia scapigliata di urlatori, Grillo&Casaleggio, sa benissimo che non esiste neanche uno spuntone giuridico-istituzionale per chiedere la messa in stato d'accusa del presidente della Repubblica.
L'articolo 90 della Costituzione recita infatti che il capo dello Stato "non è responsabile degli atti compiuti nell'esercizio delle sue funzioni, tranne che per alto tradimento o per attentato alla Costituzione".
Ma i "papocchi" Napolitano evidenziati anche da Dagospia, rompendo così il silenzio codino tenuto dai giornaloni dei Poteri marci, possono essere considerati una serie di "attentati" alla magna carta?
La risposta è "no", senza se e senza ma. E senza essere degli ingegneri istituzionali "à la carte".
A proposito di geometrie costituzionali, nel rimettere mano al Senato per trasformarlo nella Camera alta delle autonomie qualcuno si è ricordato che, art.86 della Carta, in caso d'impedimento ora tocca al presidente di palazzo Madama esercitare le funzioni del capo dello Stato? E in futuro?
Ah saperlo!
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