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Fabio Martini per "La Stampa"
Negli studi televisivi de «La 7» i microfoni erano ancora spenti, lo scambio di battute non venne registrato, ma la sequenza che si è consumata la sera del 17 luglio è eloquente, attualissima.
Matteo Renzi sta per essere intervistato nella trasmissione di Enrico Mentana «Bersaglio mobile» e - davanti al pubblico in studio - il sindaco si rivolge scherzosamente a Marco Travaglio: «L'altro giorno, per avere un consiglio immobiliare stavo per chiamare Marco Lillo...», giornalista del «Fatto», un «mago» nello spulciare carte catastali e giudiziarie. E Travaglio: «Lillo te lo abbiamo sguinzagliato per dieci giorni, ha fatto un'inchiesta su di te: sei pulito».
Certo, Travaglio e il «Fatto» hanno continuato a non far sconti al sindaco-candidato, ma quella comunicazione rappresenta un eloquente viatico per il «nuovo Renzi», quello che si appresta a prendere il comando del Pd e, come tale, esposto più di prima all'occhio indagatore di chi vuol sapere tutto su di lui.
Le Primarie deve ancora vincerle, Renzi non sembra scaramantico e infatti si è messo a far programmi per il futuro. Due giorni fa ha scolpito una frase lapidaria: «Dal 9 dicembre l'agenda del governo cambierà ». Ma cosa cambierà veramente? Quanto peseranno gruppi parlamentari riottosi, poco inclini agli ordini dall'alto? E quanto peserà la difficile sintonia tra il sindaco di Firenze e il Capo dello Stato?
Tre giorni fa, mentre era in corso il braccio di ferro tra Letta e Renzi sul destino di Anna Maria Cancellieri, dal Quirinale si sono fatti cercare il sindaco. Dopo la telefonata con Napolitano, Renzi si è ammorbidito sulla ministra di Giustizia, ma l'appeasement è durato poco e chi lo conosce, assicura che «Matteo, una volta eletto, potrebbe riproporre la questione-Cancellieri» .
In realtà il «nuovo» Renzi ha deciso alcune delle sue prossime mosse, ma non tutte. Una prima scelta l'ha fatta, una volta per tutte: il segretario in pectore è totalmente disinteressato ad aver ministri renziani nel governo e non chiederà a Letta di togliere qualche poltrona agli scissionisti del Pdl per assegnarla al Pd. Dice Renzi: «Niente richieste di rimpasto, nel modo più assoluto. Se sarò io a guidare il Pd, non discuterò mai di queste cose con il presidente del Consiglio».
In questo caso Renzi è sincero: il mostrarsi disinteressato alle poltrone fa parte del suo personaggio e l'immagine coincide con l'interesse di non rafforzare in alcun modo il governo in carica. Anche se - Renzi lo sa - il Pdl ottenne cinque ministri in rappresentanza di quasi 200 parlamentari, mentre la pattuglia degli scissionisti, con i suoi 57 onorevoli, è sovra-rappresentata.
Ma la sfida di Renzi è politica: finora Enrico Letta ha dovuto fronteggiare soltanto il Pdl, tanto è vero che la misura più corposa decisa dal governo è stata l'abolizione delle due rate Imu, ma ora dopo la scissione dei ministri, «il Pd - come dice il sindaco di Firenze - ha il 70% della maggioranza, è l'azionista forte delle larghe intese» e dunque ogni giorno rilancerà .
Dice Antonio Funiciello, responsabile Comunicazione e Cultura Pd, uno degli emergenti dell'«area Renzi»: «Il patto col quale era nato il governo è scaduto, due contraenti, Pdl e Scelta civica, non ci sono più, il Pd sta cambiando leader e linea. Ma se il governo saltasse, resteremmo in una terra di nessuno e invece abbiamo bisogno di un esecutivo che assesti i conti pubblici, avvii la ripresa, costruisca il bipolarismo decidente che è mancato in questi 20 anni».
Ma per uscire dalla crisi economica, Renzi riproporrà ricette con copertura a pie' di lista, come la proposta di investire 22 miliardi per il cuneo fiscale? Anche ieri Renzi ha preferito tenersi sul generico: «Chi dice che la spesa pubblica non può essere toccata vuole conservare l'esistente», «noi spendiamo 110 miliardi in sanità e non c'è dubbio che tanti settori vadano razionalizzati», «se la crisi è valoriale, non la risolve chi vince le Primarie, la risolve la società ».
Ma quanto prima, Renzi dovrà decidere chi sarà il suo «portavoce» a Montecitorio nei dibattiti più importanti. Il più tagliato per il compito, il modenese Matteo Richetti, pare non sia più nelle grazie di Renzi e dunque la scelta cadrà su uno dei deputati del «primo cerchio» (Luca Lotti, Maria Elena Boschi) o del secondo: Dario Nardella, Ernesto Carbone, Dario Parrini, Simona Bonafè.
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