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Fabrizio Dragosei per âIl Corriere della Sera'
Il governo di Kiev ha deciso di minacciare il ricorso alle maniere forti per liberare gli edifici pubblici occupati in due città dell'Est, Luhansk e Donetsk. Dentro i palazzi non ci sarebbero ostaggi, come le autorità avevano detto in un primo momento, ma ingenti quantità di armi.
«Una soluzione si troverà in ogni caso entro le prossime 48 ore» ha annunciato ieri il ministro dell'Interno. Alcuni degli occupanti, una cinquantina, hanno spontaneamente abbandonato l'impresa, mentre altri hanno rinforzato le difese con filo spinato e bottiglie incendiarie pronte all'uso. «La minoranza che vuole lo scontro avrà una risposta decisa da parte delle autorità ucraine» ha ammonito il ministro.
Questo mentre la diplomazia internazionale è al lavoro per organizzare un incontro tra tutte le parti per la settimana prossima. Gli Stati Uniti avevano già annunciato una data, ma il ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov frena, perché vuole che al vertice partecipino anche rappresentanti delle regioni in rivolta e che si parli della nuova costituzione che Kiev dovrebbe varare. Sia Lavrov sia il segretario di Stato John Kerry si sono intanto appellati a tutti gli ucraini per evitare il ricorso alla violenza.
Ma la tensione non scende, anche perché da tutte le parti continuano ad arrivare dichiarazioni che vengono giudicate provocatorie dagli interlocutori. «Spero che le autorità provvisorie non faranno niente di irreparabile» ha dichiarato per esempio Putin. A Mosca si è parlato delle forniture di gas in una riunione di Vladimir Putin con il governo trasmessa in parte dalle televisioni.
Come se la cosa fosse stata orchestrata, ha iniziato il ministro dell'Energia il quale, con aria seria, ha comunicato che gli ucraini «non hanno pagato il debito di 2,2 miliardi di dollari». Poi ha preso la parola l'ex delfino di Putin, Dmitrij Medvedev, che negli anni passati era stato visto come il possibile «democratizzatore».
Medvedev, che ora è primo ministro, ha interpretato il classico ruolo del poliziotto cattivo dei telefilm. «Veramente, ha esordito, il debito complessivo è di 16,6 miliardi. Perché il gas non pagato ammonta a 2,2; poi ci sono i 3 miliardi del mutuo; quindi 11,4 miliardi di anticipo di sconto e di mancato profitto per la Russia». Questo, dunque, calcolando la prima fetta dell'accordo da 15 miliardi che aveva spinto l'ex presidente ucraino ad allontanare il suo Paese dall'Europa. E con un curioso ragionamento sull'annessione della Crimea: visto che ora la base della marina russa a Sebastopoli non è più in territorio ucraino, salta l'intesa sull'affitto e quindi Kiev deve restituire tutti i soldi incassati dall'inizio.
Putin ha quindi riassunto la situazione: «Dunque Gazprom fornirà solo il gas pagato con un mese di anticipo». E, da bravo padre di famiglia, ha proposto la sua mediazione: «Chiederei al governo e a Gazprom per ora di astenersi dall'applicare queste norme previste dal contratto. In attesa di consultazioni con i partner». Naturalmente se la controparte si comporterà bene. Cioè come vuole il Cremlino.
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