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Roberto Mania per "La Repubblica"
Enrico Letta, con la sponda di D'Alema, "conquista" il ministero dell'Economia, il più importante, lì dove ancora si decide per quanto sotto sorveglianza dell'Europa. Perché il ministro Padoan, già direttore del think tank dalemiano ItalianiEuropei, ha scelto la sua squadra.
Capo di gabinetto è Roberto Garofoli, già segretario generale di Palazzo Chigi nel governo di Enrico Letta; vice capo di gabinetto, Luigi Ferrara che collabora con Letta dai primi anni del Duemila quando, quest'ultimo, era il giovane ministro dell'Industria; capo della segreteria tecnica Fabrizio Pagani, consigliere economico dell'ex presidente del Consiglio.
Un'operazione - per quanto è trapelato - che non dispiace al Quirinale dal momento che offre la garanzia della continuità e della stabilità . La stessa su cui il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha insistito nei diversi colloqui con Matteo Renzi, allora presidente incaricato, tanto da suggerirgli di recarsi direttamente (cosa che il segretario del Pd fece) in Via Nazionale dal governatore della Banca d'Italia, Ignazio Visco, per avere un quadro complessivo della situazione economica italiana e dei vincoli stringenti che limitano il campo d'azione in particolare sul fronte dello sforamento del fatidico 3 per cento del rapporto deficit/Pil. Insomma è come se il ministero dell'Economia, con un'azione politica di stampo evidentemente dalemiano-lettiano, sia stato ora messo in sicurezza. E non appare un'Opa amichevole nei confronti di Renzi.
C'è da una parte una sorta di vendetta di Enrico Letta, sfrattato da Palazzo Chigi con il voto della direzione del Pd, e dall'altra la rivincita dei consiglieri di Stato, perché Garafoli (47 anni) appartiene alla categoria dei potenti giudici amministrativi che da sempre, ma soprattutto nella seconda Repubblica con il declinare della qualità del personale politico, guidano dietro le quinte, forti delle loro competenze giuridiche, l'azione dei singoli ministri.
Uno smacco per Matteo Renzi che, solo tre giorni fa, nel suo discorso programmatico davanti alle Camere, ha dichiarato pubblicamente guerra agli alti burocrati ministeriali, ai consiglieri di Stato, fino al punto di immaginare - lontano dai riflettori, questo - anche un decreto per arginare il loro ingresso nelle stanze del potere. Ipotesi poi declassata a una sorta dei moral suasion nei confronti dei suoi ministri. Processo che evidentemente ha avuto scarsi effetti dalle parti di via XX settembre.
Perché di certo quella di Garofoli è una classica, brillante, carriera di un giovane consigliere di Stato piazzatosi al primo posto nel relativo concorso. A cui è seguita una serie di incarichi fuori da palazzo Spada, sontuosa sede del Consiglio. Prima capo dell'ufficio legislativo del ministero degli Esteri con Massimo D'Alema (governo Prodi), poi (governo Monti) capo di gabinetto di Filippo Patroni Griffi (anch'egli consigliere di Stato) al ministero della Pubblica amministrazione. Nell'intermezzo anche condirettore della Treccani Giuridica, con Giuliano Amato (cofondatore di ItalianiEuropei) presidente. E con lo stesso Amato (oggi giudice costituzionale) ha curato un volume sulla pubblica amministrazione in Italia.
Ed è stato Patroni Griffi a chiamare Garofoli a Palazzo Chigi per assumere l'incarico centrale di segretario generale. Dove ora è arrivato Mauro Bonaretti, già capo di gabinetto di Graziano Delrio agli Affari regionali, e ancor prima city manager da Reggio Emilia con Delrio sindaco. Un profilo per segnare, appunto, la discontinuità che Renzi avrebbe voluto da tutti i suoi ministri.
Padoan ha imboccato un altro percorso, però. à una scelta che non può non avere anche un valore politico. Si vedrà , a questo punto, se si replicherà il modello Berlusconi-Tremonti, con la sfida perenne tra il Tesoro e palazzo Chigi, e si vedrà il reale tasso di autonomia del tecnico Padoan alla sua prima prova politica.
E si verificherà pure il potere che intenderà assumere Garofoli, se diventare il nuovo Vincenzo Fortunato, che per decenni e in diversi governo fu il potentissimo e intoccabile capo della macchina del ministero in grado di complicare la vita anche ai tecnici di Mario Monti, oppure interpreterà il suo ruolo in maniera più defilata. Certo i suoi colleghi consiglieri lo considerano «un frenatore », poco incline ai cambiamenti.
Quella delle squadre ministeriali sarà una partita fondamentale per capire il vero cambio di rotta che potrà marcare il governo Renzi. Le scelte sono per ora contraddittorie. A guidare il delicatissimo Dipartimento degli affari giuridici di palazzo Chigi dovrebbe arrivare, al posto di Carlo Deodato (consigliere di Stato), Francesco Pizzetti, già garante della Privacy e consigliere di Romano Prodi. Mentre il consigliere economico del ministro dello Sviluppo, Federica Guidi, sarà Piero Gnudi, ministro del Turismo con Monti ma prima presidente dell'Enel.
BERSANI LETTA RENZI MATTEO RENZI E LA BOMBA A ENRICO LETTA RENZI E LETTAroberto-garofolifabrizio pagani RENZI E PADOAN
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