DAGOREPORT - BLACKSTONE, KKR, BLACKROCK E ALTRI FONDI D’INVESTIMENTO TEMONO CHE IL SECONDO MANDATO…
1. MAMMA REGENI CONTRO VECCHIONI «GIULIO NON HA BISOGNO DI CANZONI» LUI: «NESSUNA STRUMENTALIZZAZIONE»
Carlo Baron per ‘la Stampa’
«Non rispetta i nostri sentimenti. Questo cantautore ha settant' anni. Potrebbe andare in pensione». A Paola Regeni non piace la canzone che Roberto Vecchioni ha dedicato a Giulio, ucciso al Cairo nel 2016. E non lo manda a dire. La sala del Bookstocks Village è gremita. C' è gente in coda da mezz' ora. Molte scolaresche. Ci sono la mamma e il papà di Giulio. Venuti alla giornata inaugurale del Salone del libro per tenere viva una denuncia e perché non diventi solo un ricordo.
Forse è questo che fa male a Paola Regeni. «Non abbiamo bisogno di canzoni su Giulio - spiega - come quella scritta da un noto cantautore settantenne (non citerà mai Vecchioni ndr ) o di scoop giornalistici. Se qualcuno ha qualche informazione utile o qualche scoperta che noi non abbiamo, venga da noi a raccontarla e poi scrive i libri. Chi ha fatto libri su Giulio è gente che ha tempo a disposizione, tempo di fare copia e incolla. A noi i libri copia incolla non servono».
«Ci sono rimasto male - replica Vecchioni in un' intervista a Rolling Stone -. Le ho detto che questa è una canzone simbolo, in cui la madre protagonista è in realtà una madre universale. Come Andromaca, la mamma di Cecilia nei Promessi sposi, Ida per la Morante o la Madre coraggio di Brecht. Al centro del pezzo ci sono le mamme del mondo, e i loro figli meravigliosi. Si fa accenno alla vicenda di Giulio, ma in maniera corretta e innamorata, senz' altro dalla sua parte. Per questo non credo di aver leso alcun diritto della signora, che conosco e a cui voglio bene».
E, aggiunge, «ho mantenuto la promessa di non cantarla in tv o parlarne con i giornalisti. L' ho cantata in teatro e la farò in tour, ma l' ho tenuta in un angolo. Non l' ho fatta diventare un singolo per rispetto a lei, anche se ci avevo pensato. Non volevo strumentalizzare la vicenda, non so cos' altro avrei dovuto fare». Alla richiesta di Paola Regeni di rinunciare al brano risponde di no, «perché me lo imponeva la mia libertà espressiva, non mi si può togliere una canzone».
«Queste parole mi hanno addolorato moltissimo - interviene Sergio Staino -. Sono fin dall' inizio vicino ai genitori di Giulio. Abbiamo organizzato incontri, tenuto accesi i riflettori di una denuncia che deve arrivare alla giustizia e alla verità. Sono anche amico di Vecchioni.
Credo si tratti di un' incomprensione. La canzone vuole essere un atto d' amore. Credo sia rispettosa del dolore e dei sentimenti dei genitori di Giulio. Lo capisco quando viene cantata in concerto nei teatri. C' è sempre una standing ovation quando termina il pezzo.
E non è per Roberto. Ma tutta per Giulio».
Al Salone Paola Regeni ha portato anche i libri che ha trovato nella camera di Giulio. «Volevo farvi una sorpresa così sono andata a sbirciare nella libreria di Giulio, cosa che ho fatto tante volte Ho portato anche Topolino, perché Giulio a 5 anni ne era ghiotto».
Un viaggio illuminante nelle letture preferite del giovane ricercatore. E a rileggere oggi i titoli c' è l' idea di un uomo dalla curiosità infinita. Ci sono romanzi e saggi di sociologia ed economia. Il Dio delle piccole cose dell' indiana Arundhati Roy e La scomparsa dell' Italia industriale di Luciano Gallino. Fino alle Lettere luterane di Pier Paolo Pasolini, friulano come Giulio. Ucciso anche lui.
Anche lui con una giustizia che ha faticato a farsi strada. Pier Paolo Pasolini al quale un altro grandissimo, Fabrizio De Andrè, dedicò una canzone: Una storia sbagliata . Paola Regeni mostra anche un libro su Doris Lessing «che Giulio amava in modo particolare e per il cui Nobel fu felicissimo». E 201 Arabic words, uno degli strumenti di lavoro del giovane ricercatore. «Purtroppo lo studio lo ha portato alla morte».
(ha collaborato Giorgia Mecca)
2. LA MOSSA DEI GENITORI DI REGENI CHE SMASCHERA LE BUGIE DEGLI EGIZIANI
Carlo Bonini e Giuliano Foschini per ‘la Repubblica’
Dopo quella al presidente del Consiglio Giuseppe Conte, la lettera di Paola Deffendi e Claudio Regeni al presidente Al Sisi, la scelta di diffonderla oggi in tre lingue - italiano, inglese, arabo - sul sito di Repubblica e a disposizione dei quotidiani del Consorzio internazionale " Lena", si mangia, dopo 39 mesi, ciò che resta del tempo residuo concesso al regime egiziano per compiere un atto politico che apra concretamente la strada all' accertamento della verità sul sequestro, le torture e l' omicidio di Giulio. E lo fa, non a caso, circoscrivendo la forma e la sostanza di quell' atto, a questo punto non più chiesto ma preteso dalla famiglia, a una dimensione squisitamente giudiziaria, la sola che ora conta.
A maggior ragione nella prospettiva aperta dai progressi che la procura di Roma, con un ennesimo e ultimo sforzo, ha ottenuto acquisendo la testimonianza di un funzionario della sicurezza di un paese africano testimone oculare, nell' estate 2017, delle ammissioni di uno dei 5 ufficiali dei Servizi egiziani indagati dalla procura di Roma circa la loro piena responsabilità nel sequestro di Giulio il 25 gennaio 2016.
La richiesta ad Al Sisi di « consegnare » e dunque mettere a disposizione della procura di Roma i 5 funzionari della " National security agency" indagati perché vengano interrogati è infatti il corollario, o comunque l' altra faccia, della richiesta di rogatoria che la procura di Roma, venerdì, ha trasmesso al Cairo per ottenere nuove e cruciali informazioni su uno di quei 5 funzionari indagati.
Quello indicato dal nuovo testimone. Insomma, se Al Sisi vuole dimostrare di « essere uomo di parola » deve soltanto istruire la Procura generale del Cairo a rimettere in moto un' indagine che ha volutamente e scientificamente affossato ai primi di dicembre 2018. Rispondendo alla rogatoria e lasciando che il generale Sabir Tareq, i colonnelli Usham Helmy e Ather Kamal e il maggiore Magdi Sharif siano nella disponibilità inquirente del pm Sergio Colaiocco.
Come è evidente, la scelta di Paola Deffendi e Claudio Regeni di sfidare Al Sisi a una sorta di ultima chiamata per la verità è lo strumento con cui mettere definitivamente in fuorigioco, smascherandolo, il nulla che il presidente egiziano ha continuato a rivogare con il governo del nostro Paese ancora nell' ultimo incontro di Pechino con Conte (27 aprile). E costringerlo, in ogni caso, quale dovesse essere la sua risposta, a impiccarsi a una presa di posizione che sarà, arrivati a questo punto, definitiva.
Sia sul piano politico che, appunto, su quello giudiziario. Rispondere alla nuova rogatoria della procura di Roma - e dunque indicare gli spostamenti di uno dei cinque indagati della " National security agency" nell' estate 2017 ( quando cioè il nuovo testimone ne avrebbe raccolto l' involontaria confessione) costringerà infatti comunque gli apparati egiziani a esporsi con circostanze di fatto che la magistratura italiana potrà poi autonomamente verificare come vere o false, con quel che ne consegue. Così come mettere a disposizione i 5 funzionari dell' Intelligence li esporrà all' incognita di contestazioni che sono nella sola disponibilità della procura di Roma.
Mossa dunque non da poco e tutt' altro che banale o rituale quella dei Regeni. Da non confondere con la mozione degli affetti o con la supplica al vertice di un regime militare. Non fosse altro perché puntare al bersaglio grosso - Al Sisi - significa anche indirettamente strappare al vuoto delle sue intenzioni prive di concretezza lo stesso Giuseppe Conte.
Venerdì scorso, infatti, a dimostrazione di quanto scoperto sia il nervo di chi pensa di uscire da questa vicenda spostando semplicemente l' appuntamento con la verità a data da destinarsi e alla buona volontà dell' interlocutore, il presidente del Consiglio ha voluto mettere immediatamente il cappello ( comunicandone l' esistenza) all' inoltro attraverso il nostro ministero di Giustizia della nuova rogatoria della procura di Roma al Cairo provando a vendere un atto autonomo della magistratura di cui, per legge, l' esecutivo è soltanto tramite, come un atto politico. Ad oggi, assente. A meno di non voler considerare come tale l' insediamento della Commissione parlamentare d' inchiesta che, va da sé, nulla ha a che fare con le prerogative e i poteri del governo.
P. S. Anche " Repubblica" è in attesa da parte del presidente del Consiglio di una cortese risposta, quale essa sia, alla lettera aperta con cui il 29 aprile lo ha invitato a considerare la possibilità di assicurare protezione giuridica a chi, cittadino straniero, dovesse rendere alla procura di Roma testimonianza utile ad avvicinarsi alla verità sull' omicidio di Giulio Regeni.
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