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Stefano Sansonetti per www.lanotiziagiornale.it
Le incertezze sui futuri assetti del potere regnano ancora sovrane. E le schiarite non potranno che arrivare dopo il 4 marzo, data delle elezioni. Ma la domanda circola con tale insistenza che qualche identikit viene già delineato. Chi sarà il prossimo ministro dell’economia? Coloro che si producono in questo esercizio di previsione, a 10 giorni dal voto, tendono a considerare fondamentalmente due scenari. Il primo: dalle urne esce un centrodestra autosufficiente, seppur con l’aiuto di qualche “stampellina”. Il secondo: l’esito del voto apre la strada a una “larga intesa” tra FI, Pd e qualche pezzetto di altre formazioni. Secondo diversi osservatori il vento di centrodestra sta soffiando sempre più forte.
Se questo dovesse portare al Governo Forza Italia e alleati, per il ruolo di ministro dell’economia si fanno principalmente due nomi: Vittorio Grilli o Domenico Siniscalco, con il primo in vantaggio sul secondo. Si tratta di profili che vengono in mente per almeno due ordini di considerazioni.
Innanzitutto gli “skills” internazionali spendibili in Europa e nel mondo, che i due hanno affinato anche nell’ambito dei loro attuali incarichi in banche estere come Jp Morgan (Grilli) e Morgan Stanley (Siniscalco). Ma oltre a questo i profili in questione vantano una consolidata esperienza nei precedenti Governi guidati da Silvio Berlusconi. Grilli è stato Ragioniere dello Stato dal 2002 al 2005, Direttore generale del Tesoro dal 2005 al 2011 e ministro dell’economia, stavolta con Mario Monti premier, tra il 2012 e il 2013.
Siniscalco è stato Direttore generale del Tesoro dal 2001 al 2005, con una breve parentesi da ministro tra il 2004 e il 2005. Senza dimenticare che sono entrambi accreditati di buoni rapporti con Gianni Letta, le cui mediazioni storicamente contribuiscono a dare forma alla geometria del potere berlusconiano.
Ma c’è anche chi non nasconde un potenziale ostacolo davanti al grande ritorno di Grilli e Siniscalco, ossia l’iniziativa della Corte dei conti che contesta loro, in compagnia di altri funzionari del Tesoro, un danno erariale derivante dalla chiusura nel 2012 di un contratto derivato con Morgan Stanley, particolarmente pesante per le casse dello Stato. Il vantaggio di Grilli, a cui si faceva riferimento prima, deriva dal fatto che la sua posizione è più leggera rispetto a quella di Siniscalco.
Quest’ultimo, peraltro, oggi lavora per la stessa banca, Morgan Stanley, a cui la Corte dei conti contesta la magna pars del danno (2,8 miliardi su 4). Proprio per questo in area centrodestra, ma con una soluzione che potrebbe andar bene anche in un’eventuale larga intesa con il Pd, c’è un’alternativa finora molto coperta. Il nome in gioco è quello di Riccardo Barbieri Hermitte, attuale capo economista del Tesoro, nominato nel 2015 (quindi in pieno Governo Renzi) al vertice della Direzione che si occupa di analisi finanziaria.
Da dove viene fuori questo profilo? La principale dote è quella di essere un efficace “medium” con la finanza internazionale: nel suo percorso, infatti, ci sono esperienze in Mizuho International, Bofa-Merrill Lynch, Morgan Stanley e Jp Morgan.
LORENZO BINI SMAGHI E MOGLIE VERONICA DE ROMANIS
Il dettaglio – Ma c’è anche una piccola finestra apertasi nel 2010 in Algebris, la società d’investimento del renzianissimo Davide Serra, quando però l’ascesa del futuro premier non era minimamente contemplata. Sta di fatto che nel suo curriculum, sul sito del Tesoro, di Algebris non viene fatta menzione. Certo, se l’opzione in gioco fosse quella di una larga intesa tra FI e Pd non si potrebbe escludere una conferma a via XX Settembre di Pier Carlo Padoan, sul quale però pende l’incertezza dell’esito delle elezioni (è candidato a Siena).
Altro nome che potrebbe andar bene è quello dell’economista Lorenzo Bini Smaghi (ex board Bce), che vanta contatti trasversali. Infine un’ultima considerazione: con un Governo di coalizione (piuttosto eterogenea) le esigenze della politica potrebbero portare a una sorta di “separazione” delle deleghe a via XX Settembre, con quella alle Finanze assegnata a un profilo più politico, magari nelle vesti di viceministro. In questa direzione, se il centrodestra dovesse rivelarsi autosufficiente, il nome che si sente fare è quello del leghista Giancarlo Giorgetti. Ma la partita è tutta da giocare.
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