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Marco Palombi per “Il Fatto Quotidiano”
Quel che è successo sugli emendamenti al decreto Pubblica amministrazione non è tanto rilevante in sé, quanto per quel che significa: la frattura tra Tesoro e Palazzo Chigi è ormai conclamata con quest’ultimo, almeno per ora, nella parte dello sconfitto.
Matteo Renzi, che aveva difeso la norma sui “quota 96” e il prepensionamento dei professori universitari contro le perplessità di alcuni ministri (ad esempio Stefania Giannini, titolare dell’Istruzione) e l’uscita pubblica di Carlo Cottarelli, è ora stato costretto alla marcia indietro.
PADOAN FIDUCIA AL GOVERNO RENZI IN SENATO FOTO LAPRESSE
Quattro emendamenti soppressivi che dicono che la macchina dell’austerità è ancora in funzione e anzi non trova argini. Nessun cambiamento di verso, insomma, e un pessimo segnale per la battaglia sui conti pubblici che l’Italia dovrà affrontare in autunno.
Va notato, intanto, che le uscite pubbliche anti-governative del commissario alla spending review e della Ragioneria generale dello Stato (ieri ne ha fatto le spese anche un emendamento al dl Competitività del M5S condiviso dalla maggioranza) arrivano all’indomani della formalizzazione della squadra economica di palazzo Chigi che doveva sottrarre poteri proprio al Tesoro.
Questa la scansione degli eventi. Lunedì 28 luglio Matteo Renzi ha comunicato i nomi degli economisti che faranno parte della famosa “cabina di regia” di palazzo Chigi: l’ex rettore della Bocconi Guido Tabellini, Marco Simoni, Veronica De Romanis, Tommaso Nannicini, più i piddini Yoram Gutgeld e Filippo Taddei. Il giorno dopo c’è stato un incontro tra Matteo Renzi e Pier Carlo Padoan a palazzo Chigi al termine del quale viene diffusa l’apposita velina “tutto bene, madama la marchesa”: “Il titolare dell’Economia ha condiviso con Renzi l’idea di irrobustire la squadra economica di palazzo Chigi, in modo da avere una sponda e una interlocuzione ancora più strutturata”.
Lo stesso giorno, però, al Tesoro s’erano tolti i guanti: alla Camera arrivano i pareri della Ragioneria generale che vogliono difendere l’impianto generale (e le accluse ingiustizie) della riforma delle pensioni Fornero. Non è finita. Mercoledì sera è arrivata la mazzata di Carlo Cottarelli che attacca il Parlamento per attaccare il governo, colpevole di aver avallato la manovra sui “quota 96”.
Venerdì ancora, con geometrica potenza di fuoco, la Ragioneria è tornata sul luogo del delitto facendo “sparare” di nuovo dalle agenzie i suoi rilievi sulle mancate coperture. Ieri infine - con gli emendamenti che si rimangiano i provvedimenti sui pensionati della scuola, le penalizzazione e la pensione a 68 anni per i baroni universitari - Renzi ha chinato il capo. Questa vicenda non è importante per le cifre in ballo - mezzo miliardo in sette anni sono una goccia nel bilancio dello Stato - ma per i rapporti di potere che delinea.
La tecnostruttura del Tesoro è ormai pubblicamente all’opposizione: il capo di gabinetto di Padoan, Roberto Garofoli (già con Letta a palazzo Chigi) e il ragioniere generale Daniele Franco (ex Bankitalia voluto da Saccomanni) gestiscono la più potente macchina anti-renziana in Italia, ma lo fanno con solidi agganci esteri.
Non è infrequente - spiega al Fatto Quotidiano una fonte dell’ esecutivo Ue - che dalla Ragioneria partano telefonate alla volta di Bruxelles o Francoforte (la Bce di Mario Draghi) per chiedere interventi pubblici o “denunciare” informalmente il lassismo in materia di rigore del governo.
È evidente a questo punto - spiega un membro del governo - “che al Tesoro c’è una guerra interna: le strutture confermate da Padoan contro il parere di Renzi, da Franco in giù, si percepiscono come contropotere rispetto al premier e sanno che fare le sentinelle dell’austerità in salsa germanica è l’unico modo che hanno di pesare politicamente contro un governo che ha un grande consenso elettorale. Ecco il consenso degli italiani non è un loro assillo”.
Scenario abbastanza preoccupante se si pensa a quanto deve accadere di qui alla fine dell’anno: per rispettare quel che c’è scritto nel Def in termini di deficit e saldo primario, a Renzi servono una ventina di miliardi di minori spese (o maggiori tasse) entro l’anno prossimo. Roba che potrebbe uccidere un’economia già provata da anni di recessione come la nostra. Solo che fare una battaglia sulla flessibilità, magari sull’esempio di quel che fanno Francia e Spagna, mentre il Tesoro rema contro, potrebbe far affondare il Paese insieme al governo.
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