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Federico Rampini per “la Repubblica”
«Il nostro paese ha bisogno di frontiere sicure e controlli drastici. Subito. Guardate cosa succede in tutta l’Europa e nel resto del mondo, un caos orribile!». Di fronte all’isolamento internazionale — e alle forti proteste interne — Donald Trump twitta la sua reazione. È tutt’altro che pentito per il caos provocato dal bando anti-islamici. Tocca ai suoi sottoposti tappare le falle più vistose di un provvedimento improvvisato, come l’inclusione dei titolari di green card. Ma sul senso generale non ha ripensamenti, anzi contrattacca.
Ha il mondo intero contro, o almeno buona parte. Anche la sua alleata prediletta, la premier britannica Theresa May, è costretta a dirsi «non d’accordo» sul drastico stop ai rifugiati e a chiunque arrivi da sette paesi a maggioranza musulmana. Angela Merkel sottolinea che «la risoluta battaglia contro il terrorismo non è contro una fede o nazionalità» (però Trump incassa l’appoggio della Csu bavarese, l’ala destra dei democristiani tedeschi). Il premier canadese Trudeau manda a dire ai rifugiati: «Qui sarete i benvenuti».
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Da François Hollande a Paolo Gentiloni è tutto un prendere le distanze. Come reagirà Trump al primo serio contraccolpo? Le proteste dall’estero non lo preoccupano. Potrebbe perfino additare al suo attivo il silenzio-assenso delle altre due superpotenze, Russia e Cina, che non hanno aspettato lui per adottare metodi forti contro il fondamentalismo islamico di ceceni e uiguri.
Intanto Trump nomina dentro il National Security Council la sua “anima nera”, l’ideologo di estrema destra Stephen Bannon: segno che la linea dura non si tocca. Il National Security Council è la cabina di regìa della politica estera e delle strategie militari dentro la Casa Bianca. Di solito i presidenti chiamano generali o diplomatici di provata esperienza. Bannon è un istigatore di odio sui social media, non può che accentuare il radicalismo di questa Amministrazione.
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Più delle critiche internazionali, o delle accuse dai democratici (Hillary Clinton: «L’America non è fatta così»), nell’immediato Trump ha due problemi concreti che sono la magistratura e il mondo imprenditoriale. È lì che le resistenze fanno male. Sono bastati tre magistrati: a Brooklyn per l’aeroporto di New York-Jfk, nella Virginia per Washington-Dulles, e a Boston, per bloccare le espulsioni di stranieri fermati. In genere questi provvedimenti hanno un effetto sospensivo e rinviano a un grado giudiziario superiore.
Questo può ripetersi spesso, vedremo degli ordini esecutivi di Trump arenarsi proprio al momento... dell’esecuzione. La magistratura americana è a modo suo politicizzata. In certi casi le alte cariche sono elettive; in altri casi i giudici sono di nomina federale e dunque dopo 8 anni di Obama i ranghi delle procure sono pieni di democratici.
È l’unico ramo del potere dove l’opposizione resta forte visto che Camera e Senato hanno maggioranze repubblicane. Trump col passare del tempo cambierà anche questo stato di cose, via via che comincerà lui a riempire caselle vacanti. A cominciare dalla prossima nomina alla Corte suprema, uno dei gesti più gravidi di conseguenze che il presidente farà. Per ora la magistratura vigila sulla legalità rallentando la “rivoluzione Trump”.
L’altro problema è l’economia. Insieme con le tante manifestazioni spontanee, ieri sono scesi in campo colossi digitali come Apple e Google da una parte, e le compagnie dei “yellow cab” newyorchesi dall’altra. Sono i due estremi di un ampio ventaglio di business che si reggono sulla manodopera immigrata. La Silicon Valley non può fare a meno di informatici stranieri, inclusa una parte che proviene dal Medio Oriente. I tassisti newyorchesi sono quasi tutti immigrati, in parte musulmani.
Il generale John Kelly, di fresca nomina al vertice della Homeland Security, è tra i primi a cercare di rattoppare uno dei difetti macroscopici dell’editto presidenziale: l’inclusione dei titolari di green card nel divieto d’ingresso, qualora provengano da uno dei paesi all’indice. La green card è “Legal Permanent Residence”, è difficile pretendere che non dia alcun diritto. Su un altro fronte però l’Amministrazione sta studiando un ulteriore giro di vite.
trump e il busto non rimosso del reverendo ml king
Ne avrebbe parlato il Policy Director della Casa Bianca, Stephen Miller, citato dalla Cnn: chiedere agli stranieri che vogliono entrare sul territorio americano l’elenco dei siti e social media frequentati, nonché la rubrica dei cellulari. L’idea sarebbe quella di avvistare in anticipo potenziali terroristi come l’autore della strage di San Bernardino in California. Tra le obiezioni molti fanno notare che i terroristi di Boston, San Bernardino e Orlando erano già residenti qui. Mentre dalla lista dei paesi “proibiti” manca l’Arabia saudita da dove provenivano molti dirottatori dell’11 settembre.
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