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Amedeo La Mattina per âLa Stampa'
Denis Verdini e Gianni Letta stanno lavorando per ricucire lo strappo causato da Berlusconi. Il leader di Fi, tormentato dalla perdita della sua libertà personale (domiciliari o servizi sociali), è nervoso, angosciato, irritato della sovraesposizione mediatica di Matteo che sta erodendo consensi all'area moderata. Si sente in qualche modo tradito dal premier che ha scritto una riforma del Senato senza averlo consultato: a suo giudizio si vuole trasformare Palazzo Madama in una sorta di «dopolavoro dell'Anci».
Tanti sindaci del Pd a fronte dell'evanescenza di Fi che guida solo una città capoluogo di Regione, cioè Campobasso, dove tra l'altro tra qualche mese si vota, rischiando pure di perderla. E allora è chiaro che per l'ex premier questa riforma è «inaccettabile». Peggio se poi deve servire alla campagna elettorale di Renzi e a stringere l'ex Cavaliere in un «abbraccio mortale».
«Noi non possiamo appiattirci - ha detto ieri al telefono ad alcuni esponenti del suo partito - e adesso dobbiamo rimanere sull'Aventino, anche a costo di rompere. A meno che loro nei prossimi giorni non facciano marcia indietro su alcuni punti, soprattutto sulla composizione del Senato».
Così sono entrati in campo Verdini e zio Letta che stanno cercando di contrastare nel partito le spinte più radicali e preoccupate dell'«abbraccio mortale» di Renzi. Soprattutto stanno cercando di rassicurare l'ex Cavaliere sulla possibilità di modificare la riforma del Senato. I pompieri Verdini e zio Letta, quindi, sono al lavoro per far scendere Berlusconi dall'Aventino.
Da autorevoli fonti di Fi, confermate in casa Pd, sembra che sabato e anche ieri ci siano stati contatti telefonici direttamente con Renzi. E nei prossimi giorni la patata bollente finirà nelle mani del vicesegretario Lorenzo Guerini che incontrerà Verdini.
Si starebbe ragionando su alcune modifiche, in particolare l'attenzione è concentrata sulla composizione: ci dovrebbero essere meno sindaci, una rappresentanza delle Regioni che tenga conto delle maggioranze e delle opposizioni e un calcolo proporzionale del peso demografico delle Regioni (la Valle d'Aosta o il Molise non possono esprimere la stessa rappresentanza della Lombardia e della Sicilia).
Ecco, Verdini e Letta stanno portando a casa qualcosa, sono riusciti a far capire a Renzi che così com'è la riforma del Senato rischia di non passare perché le divisioni sono trasversali, le proposte contrarie stanno arrivando sia dal gruppo di Forza Italia sia da quello del Pd.
Il premier avrebbe quindi aperto ma Renzi non transige su alcuni paletti: il Senato non deve essere elettivo, non deve votare la fiducia e la legge di bilancio, fine del bicameralismo perfetto, i nuovi senatori non devono percepire alcuna indennità .
In fondo era imperniato su questi punti l'accordo siglato da Renzi e Berlusconi al Nazareno.
In quell'incontro però era molto più dettagliata l'intesa sulla legge elettorale, mentre sulla riforma del Senato erano stati fissati i principi. Non il resto. Ecco perché ora Brunetta chiede a Verdini di rendere noto il testo di quell'accordo: «Sarà chiaro che non c'era nulla di quello che poi il governo e la signorina Boschi hanno scritto senza consultarci. Tra l'altro mi risulta che non era chiaro se i senatori dovessero essere eletti o meno, ma su questo si può discutere».
Allora, se la trattativa si riaprirà , Berlusconi scenderà dall'Aventino? Già sabato sera, dopo aver tuonato contro la «riforma inaccettabile», aveva ammorbidito i toni. E ieri, intervenendo telefonicamente a un'iniziativa di Fi, non ha più fatto cenno alla questione, ma si è lanciato contro la «dittatura della sinistra giudiziaria». Il dente del 10 aprile duole sempre.
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