RIUSCIRÀ SALVINI A RITROVARE LA FORTUNA POLITICA MISTERIOSAMENTE SCOMPARSA? PER NON PERDERE LA…
1 – LA FASCINAZIONE PER IL CHAVISMO ADESSO IMBARAZZA I CINQUE STELLE
Federico Capurso per “la Stampa”
A Caracas se la ricordano ancora, la delegazione di parlamentari del Movimento 5 stelle accorsa in città, nel marzo del 2017, per accarezzare il «mito» di Chavez, celebrarne l' anniversario della morte, e camminare all' ombra dell' uomo che ne aveva raccolto l' eredità politica: Nicolàs Maduro. Se la ricorda soprattutto la comunità italiana in Venezuela, che dei Cinque stelle ne invocò l' aiuto, parlò di sequestri, diritti violati, difficoltà economiche.
Si sentì rispondere che «anche in Italia, con Renzi, si vive male». E poi, che non andava tralasciato «il lodevole insegnamento della musica nelle scuole venezuelane». Ma erano altri tempi. Erano gli anni del Movimento di lotta e di sinistra, dell' astro nascente del guevariano Dibba e dell' anticapitalismo un tanto al chilo. Luigi Di Maio non aveva conquistato il potere assoluto nel partito e Beppe Grillo poteva ancora affascinare i suoi «discepoli» raccontandogli le meraviglie del socialismo sudamericano e dei rivoluzionari esotici in sigaro e maniche di camicia. Erano altri tempi, che nello stato maggiore del Movimento derubricano oggi a uno sfortunato e imbarazzante innamoramento di gioventù.
Come spesso accade con i primi amori, però, il ricordo resta dolce nonostante la ragione chieda di dimenticare. Come per chi, tra i parlamentari del Movimento, supplica: «Non chiamatelo "dittatore"». E pensare che Maduro, fino al giorno della nomina di Di Maio a candidato del Movimento alla presidenza del Consiglio, poteva riposare sereno nel pantheon del grillismo. Lo stesso Di Maio, nel maggio del 2017, mesi prima della svolta centrista, lo invocava sulle pagine de «La Stampa» come possibile uomo chiave per la soluzione della crisi libica: «Noi proponiamo una conferenza di pace che coinvolga i sindaci e le tribù, mediata da Paesi senza interessi, tipo quelli sudamericani del gruppo Alba (l' Alleanza bolivariana di cui fanno parte Cuba e Venezuela)».
il tweet di beppe grillo pro maduro
D' altronde, era Maduro il simbolo grillino dell' autodeterminazione dei popoli, prima che il popolo venezuelano versasse il proprio sangue nelle strade per manifestare contro lo stesso Maduro. Ed era lui il simbolo della lotta al capitalismo finanziario, prima che la crisi travolgesse il Paese. In prima fila, tra i suoi ammiratori, sfilava Alessandro Di Battista, oggi in silenziosa osservazione degli sviluppi politici. Nell' aprile del 2017, però, chiedeva con una mozione al governo di «assumere iniziative nei confronti dell' alleato statunitense affinché vengano rimosse le inique sanzioni che colpiscono il Venezuela». Ma la crisi economica non era certo dettata dalle sanzioni.
La stessa ex senatrice Ornella Bertorotta, che della delegazione a Caracas era uno dei tre membri, sempre nel 2017 era costretta ad ammettere le «storture evidenti del modello economico» di Maduro. Ma ormai il «pacco» i venezuelani se lo erano preso: «Loro hanno scelto democraticamente la linea politica che introduce un ruolo forte dello Stato nel settore dell' assistenza sociale, nel controllo diretto della produzione petrolifera, nella regolamentazione del mercato interno. È stata una scelta consapevole, confermata in più tornate elettorali e referendum».
l ex presidente chavez e maduro
Adesso, è ancora più difficile assolvere Maduro dalle responsabilità dello sfascio economico: «Ha governato in maniera poco adeguata la crisi economica del suo Paese, seppur aggravata dalle sanzioni», riconosce Vito Petrocelli, senatore e presidente della commissione Esteri, «ma come Chavez, ha vinto più volte le elezioni e ha il diritto di governare fino alla fine del suo mandato». Juan Guaidó, invece, «si autoproclama presidente rendendosi complice della escalation di violenza. E non ci piace che si prendano posizioni unilaterali come hanno fatto Salvini, Tusk o Trump: meglio parlare con tutti e non parteggiare per nessuno». Qualcuno lo dice per non ferire un vecchio amore. Qualcun altro - come Di Maio - per dimenticare.
2 – E SPARISCE IL POST DI GRILLO CHE INNEGGIAVA AL «PRESIDENTE»
Tommaso Labate per il “Corriere della Sera”
beppe grillo rimuove dal blog il posto pro maduro
«Ooops Sorry, but the page you are looking for doesn' t exist ». Che per chi non fosse pratico con l' inglese vuol dire «scusa, ma la pagina che stai cercando non esiste». La pagina in questione, che pure era parte integrante del blog di Beppe Grillo, rimandava a un post in cui il 3 luglio del 2015 l' allora capo assoluto del Movimento 5 Stelle esaltava l' attacco frontale che il presidente del Venezuela aveva sferrato all' Unione europea. «Maduro attacca l' Europa e manda un messaggio ai greci», twittava il comico genovese dal suo account.
Il tweet è rimasto, la pagina sparita, cancellata, sbianchettata. «Ooops». Da quel luglio di quasi quattro anni fa ne sono successe di cose. I Cinque Stelle, da movimento di opposizione che esaltava il modello venezuelano post Chávez, si sono fatti forza di governo. Grillo, da capo assoluto, è diventato un «semplice» (virgolette d' obbligo) garante, che tra l' altro non disdegna punte di ammirazione proprio per quell' amministrazione Trump che sta provando a spegnere la luce che illumina Maduro.
La rimozione della questione venezuelana dal blog è l' anticamera di una svolta? Il M5S, che nel 2017 promosse con un gruppo di deputati guidato da Manlio Di Stefano (oggi sottosegretario agli Esteri) una risoluzione che impegnava il governo Gentiloni «ad assumere iniziative nei confronti dell' alleato statunitense affinché vengano rimosse le inique sanzioni che colpiscono il Venezuela», adesso pare aggrapparsi al principio dell' Europa che deve parlare con una voce sola: «Sia super partes», dice Di Stefano. In fondo, è la stessa Europa che il presidente venezuelano aveva attaccato nel luglio del 2015 incassando i complimenti di Grillo. L' Ue è rimasta, i complimenti spariti, Maduro si vedrà.
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