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Vittorio Feltri per il Giornale - Estratti
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Nei giorni scorsi siamo stati costretti, dall’onda di scemenza planetaria che si sta accanendo in particolare sull’Italia, a scervellarci su chi meritava di vincere il Festival di Sanremo. Questioni epocali, mi rendo conto. Propongo perciò, con scarse probabilità di successo, di spostare l’attenzione da Amadeus a Draghi.
Una ragione per indicare questa giravolta dello sguardo l’ho. È una notizia che riguarda noi italiani: pare che gli americani abbiano trovato un giacimento aurifero a casa nostra e se ne vogliano impossessare con quella che si chiama, usando il linguaggio de Il Padrino, «una proposta che non si può rifiutare».
Gli hanno assegnato negli Usa il vero Nobel dell’economia, quello della politica economica, della scienza applicata e non del fumoso pentolone delle teorie. Significa che non è il più bravo nel laboratorio delle astrazioni, ma nel risolvere problemi universali. Senza troppo rumore, senza grancasse di annunci, è accaduto questo evento forse persino più importante del televoto napoletano. In una fase di turbolenze spaventose, i capataz del dollaro hanno indicato in Mario Draghi, uno straniero, addirittura un italiano, il lume di una speranza di stabilità, innanzitutto a loro beneficio, ovvio. Lo hanno ascoltato incantati.
Gli hanno ribattuto per verificare la sostanza granitica delle sue idee.
Siccome – conoscendolo – sono certo declinerà con eleganza, spiegando che a casa ha lasciato il gas acceso, invito a non trascurare il segnale transatlantico.
Lo scopritore della miniera che noi abbiamo lasciata incustodita è un’organizzazione di quelle che, sottotraccia, comandano il mondo, sono un potere forte, direi formidabile. Si chiama Nabe. Frequento con una certa assiduità Draghi.
Non me ne aveva detto nulla, né di premi né di viaggi a Washington.
(...)
Guai a farci scippare questo tesoro nazionale, è un deposito in oro zecchino, ed io sono convinto che questo patrimonio di intelligenza pratica vada investito senza gelosie da parte di nessuno, come guida dell’Europa che oggi balla sui carboni accesi di guerre, inflazione e recessione con i piedini niente affatto rassicuranti di Ursula von der Leyen.
Non trovo intorno a me, vicino e lontano, alcun entusiasmo a questo riguardo. Non mi stupisco. Purtroppo, noi italiani siamo così: se c’è un fenomeno tricolore, ci dedichiamo concordemente, destra e sinistra, sopra e sotto, a sistemarlo nel museo delle cere, e neppure in vetrina, perché potrebbe sempre suscitare l’impressione che la reliquia sia ancora viva e vegeta, ma nei magazzini delle muffe. Sia chiaro.
MARIO DRAGHI RICEVE IL PREMIO PAUL VOLCKER DELLA NATIONAL ASSOCIATION FOR BUSINESS ECONOMICS
Non ho, specie in questo periodo bideniano, gran che stima degli americani, bravi a fare le guerre a casa degli altri, lasciandovi macerie. Non mi riferisco alle masse ma alle élite, che sanno fare benissimo i loro interessi a nostro discapito, persino perdendo i conflitti che scatenano. Stiamoci attenti però. Nessun talk show se ne è occupato.
MARIO DRAGHI RICEVE IL PREMIO PAUL VOLCKER DELLA NATIONAL ASSOCIATION FOR BUSINESS ECONOMICS
MARIO DRAGHI RICEVE IL PREMIO PAUL VOLCKER DELLA NATIONAL ASSOCIATION FOR BUSINESS ECONOMICS
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