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di Antonio Padellaro per “Il Fatto Quotidiano”
Il cervello di Alberto Sordi, di Tatti Sanguineti, è un libro spettacoloso nel senso più autentico perché racconta la storia di Rodolfo Sonego, grande sceneggiatore di tutti i film di Sordi e offre uno strepitoso spaccato del cinema italiano degli anni d’oro, e dell’Italia com’era. Un libro che va assaporato e non saccheggiato e di cui riportiamo un frammento che è un sorprendente apologo sul rapporto tra politici e intellettuali.
Siamo nel ‘47 e, racconta Sonego, ci fu una riunione dell’Anac, l’associazione autori che doveva inviare una certa lettera al ministero, cioè praticamente al giovane Giulio Andreotti, l’allora sottosegretario allo Spettacolo che passerà alla storia come implacabile censore del neorealismo (ma Sanguineti non la pensa così).
C’erano una settantina di scrittori e registi, intellettuali finissimi come Flaiano, Fellini, Visconti, Zavattini, Brancati, però malgrado i tentativi non si riusciva ad andare avanti. Nel frattempo giunse Andreotti che andò a sedersi dietro una grande scrivania e visti i vani tentativi disse semplicemente: “Permettete?”, e alzò un dito come a significare : “Detto io”.
E in men che non si dica ecco un’impeccabile lettera con le richieste dell’Anac e 72 firme in calce. “Dopodiché – conclude Sonego – Andreotti si alzò, ringraziò tutti e se ne andò portandosi via la lettera che aveva scritto a se stesso”. Episodio impensabile oggi, anche perché sono gli intellettuali che scrivono le lettere dei politici.
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