DAGOREPORT - ED ORA, CHE È STATO “ASSOLTO PERCHÉ IL FATTO NON SUSSISTE”, CHE SUCCEDE? SALVINI…
Estratto dell’articolo di Francesco Olivo per “La Stampa”
antonio tajani giorgia meloni matteo salvini
Alla «madre di tutte le riforme» manca un tassello decisivo: la legge elettorale. Il dibattito per il momento rimane sottotraccia, per il ministro Roberto Calderoli, intervistato da La Stampa, «chi ne parla ora non ragiona bene», ma l'eventuale introduzione del premierato impone dei cambiamenti.
I nodi per il momento sono almeno quattro: il premio di maggioranza, le liste bloccate, la soglia di sbarramento e l'eventuale doppio turno. Capitoli ostici, poco spendibili in talk show e comizi, ma al centro delle ansie dei partiti.
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Nella maggioranza ci sono diverse visioni: Lega e Forza Italia sono pronte ad alzare le barricate contro la reintroduzione delle preferenze, bandiera storica di Giorgia Meloni, ma potrebbe non essercene bisogno perché FdI ha capito che non è aria e le liste resteranno bloccate. Compatto invece il no al doppio turno che tradizionalmente penalizza la destra, «si rischia di eleggere il premier con un'affluenza bassissima», è la posizione ufficiale. Altra incognita: come si sceglierà il candidato premier? Con le primarie, difficile, almeno a destra, o con accordo nelle coalizioni sul modello delle Regioni?
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Il ministro delle Riforme Maria Elisabetta Alberti Casellati ha spiegato di essere al lavoro, «sto preparando un testo», senza entrare in alcun dettaglio e deludendo i parlamentari che non vogliono vedere anche questo dossier venire imposto dal governo. La riservatezza dell'ex presidente del Senato è ampiamente giustificata, Casellati sa che paradossalmente è più facile cambiare la forma di governo che mettere d'accordo i partiti per cambiare le regole del gioco.
Eppure, proprio l'introduzione dell'elezione diretta del presidente del Consiglio obbliga a cambiare il sistema di scelta dei parlamentari. In uno dei cinque articoli della riforma del premierato, infatti, si prevede il premio di maggioranza al 55%, inserendolo nella Costituzione, senza però indicare una percentuale minima da raggiungere per farlo scattare.
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Questo è uno dei nodi cruciali. Non esistono posizioni ufficiali, ma i partiti cominciano a segnare il territorio per evitare sorprese. Forza Italia pensa che tra la percentuale ottenuta alle urne e quella del numero dei parlamentari debba esserci una differenza massima di 15 punti, detto in maniera più comprensibile: per raggiungere il premio di maggioranza del 55% bisogna prendere almeno il 40% dei voti.
Il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Giovanbattista Fazzolari è stato molto più vago: «La soglia sarà sopra al 30%», aggiungendo poi, «sarà indicata nella nuova legge elettorale». Secondo il Pd si tratta di una soglia «risibile». Riccardo Magi di +Europa aggiunge: «Mettere il premio di maggioranza in Costituzione è un sotterfugio per evitare che la Consulta bocci questa riforma». In FdI si ipotizza di garantire premi di maggioranza graduali (uno per chi raggiunge il 33% e un altro, più consistente, per chi supera il 40%).
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La sensazione di molti, a destra e sinistra, è che il premio di maggioranza possa essere modificato: «Il Parlamento dovrà dire la sua e il testo finale potrà essere diverso da quello attuale», dice Nazario Pagano, Forza Italia, presidente della commissione Affari costituzionali della Camera. Parole solo all'apparenza ovvie. Pagano sottolinea l'urgenza di intervenire sulla legge elettorale: «Bisogna cominciare subito a scrivere un testo base, che può essere anche soltanto una modifica della legge attuale. Sarebbe un punto di partenza». [...]
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