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Da "il Foglio"
Il Premio Nobel per l'Economia Paul Krugman aveva capito subito che c'era qualcosa di strano: perché Barack Obama, invece di dare retta agli economisti, chiede consiglio a Warren Buffett? "I grandi uomini d'affari - aveva scritto dopo la notizia dell'incontro tra l'Oracolo di Omaha e il presidente - sono bravissimi a potenziare le singole aziende, ma la loro abilità ha poco a che fare con il governo di un'economia".
Il giudizio, probabilmente, ha del vero. Ma Buffett, 81 anni compiuti, nel business da settanta (il primo investimento di successo, recita la leggenda, lo fece a 11 anni) ha qualcosa che non s'impara sui sacri testi: una straordinaria capacità di ispirare fiducia. Chissà , forse è un segreto di Omaha, la città del Nebraska sulle rive del Mississippi che ha dato i natali a lui ma anche a Fred Astaire, Marlon Brando e Malcolm X. Gente che sapeva come e quando entrare in scena e colpire l'immaginazione nel modo più efficace.
Come nel caso della "Buffett rule", cioè la proposta di tassare i più ricchi. L'avesse detta un economista, sarebbe durata il tempo di un quotidiano. Ma Buffett, che contende a Bill Gates e a Carlos Slim lo scettro di uomo più ricco del pianeta, sa vender le sue idee in maniera più efficace: "Io - ha scritto al presidente - grazie alle regole sulla tassazione dei capitali verso in tasse il 17 per cento del reddito. La mia segretaria il 25 per cento. Le sembra giusto, presidente?".
Musica per le orecchie di Obama, che da buon appassionato di basket ha subito raccolto l'assist di Buffett che, del resto, non ha certo da invidiare al cittadino della Casa Bianca né popolarità né simpatia. Nessuno, nel mondo del denaro, riscuote tanto credito e gode di tanta indulgenza quanto mister Buffett. Meno di una settimana fa ha annunciato di aver inserito nella squadra della sua Berkshire Hathaway un certo Ted Weschler, gestore di Peninsula Capital Advisor, che aveva investito 5 milioni di dollari per invitarlo a cena.
Eppure nessuno dei sacerdoti della governance, così attenti a cesellare le regole per le grandi corporation, ha trovato qualcosa da dire su questo strano meccanismo di scelta dei propri eredi. Chi se la sente di contestare la capacità di giudizio di un uomo che, al momento della massima febbre da new economy, preferì comprare una quota delle gomme da masticare Wrigley? "Non credo - disse allora - che Internet cambi il modo di masticare il chewing gum". Sotto i cieli della crisi piace (non solo alla Casa Bianca) la sua saggezza popolare, da uomo della strada.
Tocca a lui, com'è successo in agosto, correre in soccorso con 5 miliardi di dollari di una grande istituzione, Bank of America, in ginocchio sotto i colpi della speculazione. Un acquisto che si rivelerà un buon affare, come quelli del 2008: 3 miliardi di dollari a General Electric, restituiti con gli interessi proprio in questi giorni.
E' lui, che pure possiede il 12 per cento di Moody's, che può permettersi di dire che S&P's, abbassando il rating degli Stati Uniti "ha fatto una grossa fesseria". E' lui che ha affidato 36 miliardi di dollari all'amico Bill Gates "perché è il più bravo a far beneficenza". E così il presidente, con gran dispetto di Krugman, ha deciso di affidarsi al saggio di Omaha, il re degli speculatori di Wall Street che riesce a dare fiducia a Main Street.
Non sempre nella sua carriera di finanziere ha visto giusto. Ma un buon uomo d'affari, come un attore, sa trarre profitto anche da una papera. Che bel personaggio da interpretare, se ci fosse ancora Marlon Brando o Montgomery Clift, pure lui di Omaha, terra di indiani, pistoleros e di finanzieri che vogliono pagare le tasse.
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