copertina dell espresso sulle stazioni di polizia cinesi
Fabio Tonacci,Giuliano Foschini per “la Repubblica”
Il caso delle cosiddette stazioni di polizia cinesi non è chiuso. Nonostante le rassicurazioni di Matteo Piantedosi durante il question time in Parlamento, lo scopo e le attività di almeno due degli uffici segnalati dalla Ong spagnola Safeguard defenders (quelli di Prato e di Milano) rimangono avvolti nel mistero. Tanto che, come risulta a Repubblica , il Viminale nelle ultime due settimane ha accelerato l'indagine amministrativa, dando un'indicazione precisa: «Se, come sembra, non hanno le autorizzazioni, bisogna chiuderli».
Il punto resta però il solito: cosa sono? E quanti sono? Il 16 novembre scorso è stato convocato al Dipartimento di Pubblica sicurezza l'ufficiale di collegamento dell'ambasciata cinese a cui è stato chiesto conto degli uffici. La risposta è stata: sono innocui sbrogliatori di burocrazia adibiti al disbrigo di pratiche fiscali e amministrative quali il rilascio di patenti e documenti.
polizia cinese
Per Safeguard defenders, invece, sono antenne estere che il governo cinese utilizza per controllare e riportare in patria i dissidenti. «Abbiamo trovato alcune storie di rientri forzati anche dall'Italia ma non strettamente legati alle stazioni», sostiene Laura Harth, direttrice della ong. «È molto difficile sapere chi è passato».
polizia cinese
Polizia e servizi di intelligence italiani da mesi stanno lavorando a un'inchiesta che finora ha dato esito negativo. E tuttavia una pista sembra più promettente delle altre: le stazioni di polizia cinesi potrebbero lavorare anche come centri di informazione finanziaria, attraverso i quali la Repubblica popolare monitora i flussi di denaro in entrata e in uscita dei suoi connazionali. Sullo sfondo il grande tema del riciclaggio dei cittadini cinesi in Italia, oggetto di una recente inchiesta dei pm di Milano.
polizia cinese
Anche perché, e questo è il dato da cui è partito il lavoro dei poliziotti della Digos di Prato, da quando è stato aperto nel marzo scorso, lo sportello "Fuzhou police overseas service station" in via Orti del Pero ha avuto solo quattro pratiche. Dunque il dubbio che quella stanza, il cui unico arredamento è un tavolo con una telecamera, serva a qualcos' altro di non chiaro, resta.
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Il ministro dell'Interno, rispondendo all'interrogazione del deputato di +Europa Riccardo Magi, ha spiegato che «non c'è alcuna autorizzazione alle attività dei centri, sono in corso indagini amministrative per verificare di quali titoli dispongano. Non escludo provvedimenti sanzionatori in caso di illegalità». Da qui l'ipotesi che possano essere chiusi definitivamente. La presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen ha detto che tale rete, se effettivamente risulterà essere una sorta di polizia parallela del regime, «è inaccettabile».
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Non è certo neanche quanti siano. Nel report della ong spagnola si citano 102 stazioni di polizia cinese in tutto il mondo, di cui undici sarebbero in Italia. Il Viminale però ne conta solo due, Milano e Prato. Leggendo il documento di Safeguard Defenders, compilato attingendo a fonti aperte e comunicati del governo cinese, si nota però una certa confusione: i due uffici vengono accostati ad associazioni culturali riconosciute e anche alle collaborazioni istituzionali tra polizia italiana e polizia cinese.
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Ma, come ha spiegato Piantedosi sono due storie diverse. «Gli accordi di cooperazione internazionale e l'esecuzione di pattugliamenti congiunti tra personale delle rispettive polizie, sospese nel 2020 a causa della pandemia e tuttora inattive, sono un'altra vicenda ».
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