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    PORN UNIVERSITY - IL PROSSIMO ANNO USCIRÀ IL PRIMO NUMERO DI UNA RIVISTA SCIENTIFICA SUL PORNO


     
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    Elena Stancanelli per "la Repubblica"

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    Può la pornografia diventare materia di studi universitari? Si apra il dibattito, ma senza sghignazzare. E invece pare che sia stata proprio questa la reazione di alcuni, all'annuncio che l'anno prossimo, in primavera, uscirà il primo numero di una rivista che raccoglierà studi scientifici sull'argomento.

    La dirigeranno Feona Attwood, cattedra in "sex, communication and culture" all'università di Middlesex e Clarissa Smith, studi simili a Sunderland, sempre in Inghilterra. Da quando la notizia ha iniziato a circolare - l'obiettivo era cominciare a raccogliere articoli e riflessioni - si sono scatenati commenti e baruffe. I meno aggressivi sono gli scettici, quelli che ritengono la pornografia interessante, dal punto di vista accademico, quanto la pesca a mosca o il mezzo punto a croce.

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    Il Guardian, che per primo ha svelato il progetto della rivista di Porn Studies, ha chiesto ad alcuni dei suoi giornalisti di immaginare alcuni pezzi da proporre. "Il mondo del porno e il tema della razza", e ancora "il porno, ri-posizionando il climax dal terzo atto alla fine dell'opera, sovverte le regole classiche della Piramide di Freytag?" (celebre schema di organizzazione delle strutture narrative, n.d.r.). Sarcasmo, battutacce: poco male.

    la pornostar ideale secondo Jon Millwardla pornostar ideale secondo Jon Millward

    La vera bordata arriva piuttosto dai grandi moralisti, e da chi ritiene la pornografia cattivissima maestra, sorella maggiore della pedopornografia e indissolubilmente legata a sfruttamento, prostituzione, violenza. La pornografia va vietata, altro che studiata, tuonano. Guardare sesso su dvd, computer e supporti varii fa male.

    Ma sarà vero? Sono almeno cinquant'anni che se ne discute. Nel 1967 il Congresso Americano promosse una grande indagine sugli effetti della pornografia. Lo racconta Michi Staderini in un saggio dettagliato e intelligente intitolato Pornografie, uscito per Manifestolibri e ormai introvabile.

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    La "Commissione Nixon" (questo era il nome), alla domanda se la pornografia potesse essere considerata un pericolo, rispose che «i criminali sessuali da giovani hanno avuto meno contatti con l'erotismo del cittadino normale » e che in Danimarca, dove la censura era stata abolita, i reati di tipo sessuale erano sensibilmente diminuiti. Non solo il sesso e il porno non fanno male, ma potrebbero far bene, e in ogni caso lo Stato non deve intromettersi in quello che fanno i cittadini con il loro corpo.

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    Siamo negli anni Sessanta: l'America, e il mondo, non saranno mai più tanto liberali come allora. All'apice della curva, già inizia la discesa. Si comincia subito a insinuare che tutta questa libertà faccia male, e che nello specifico la pornografia possa avere un effetto corrosivo sulla società, sulla morale, sull'amore familiare.

    Teorie che andranno a sommarsi con quanto arriverà a sostenere una parte del femminismo americano, e cioè che l'immagine femminile e il corpo della donna ne escano orribilmente degradati. Scrive Andrea Dworkin nel suo Pornography, men possessing women (1981) che il porno è: «eccitamento nell'umiliazione, gioia nel dolore, piacere nell'abuso, magnificazione del pene». Che dire di peggio? Forse soltanto il celebre slogan: "pornografia è la teoria, lo stupro è la pratica".

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    Non sorprende che quando nel 1986 viene istituita una seconda Commissione (durante la presidenza di Ronald Reagan), la cosiddetta "Commissione Meese", i risultati siano opposti. La pornografia, si dice in quel caso, «istiga alla sodomia, la quale a sua volta causa lo smembramento delle famiglie ». Ma soprattutto si sancisce quel legame causa/effetto tra rappresentazione del sesso e violenza, che ancora oggi crea scetticismo e ostilità. Persino in quelli che si annunciano come studi serissimi.

    La pornografia, dicono Feona Attwood e Clarissa Smith, è esplosa grazie alla rete. Sembra che circa il 30% dei traffici di internet riguardino il trasferimento di filmati e immagini hard, i siti porno hanno più visitatori (circa 450 milioni al mese) di Amazon, Twitter e Netflix messi insieme (circa 316).

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    È incredibile e insensato che una comunicazione di questa portata non abbia uno spazio serio dove essere analizzata e commentata. Dal punto di vista economico, sociale, culturale. Secondo Claire McGlynn, femminista, professore all'università di Durham e attivista della campagna contro la violenza sulle donne, questa diffusione massiccia di pornografia determina anche una divisione netta tra gli adulti e i ragazzi.

    Per la mia generazione, scrive McGlynn intendendo gli attuali quarantenni, il più esplicito materiale erotico a disposizione durante l'adolescenza è stata la scena del film Camera con vista, quella nella quale Julian Sands emerge dal un laghetto completamente nudo.

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    La tecnologia e la gratuità hanno reso talmente semplice l'accesso alla pornografia che ormai è a disposizione di chiunque e a qualsiasi età. Così, nei genitori, si è creato una specie di panico morale. E siamo solo all'inizio. Come cresceranno i bambini che, per aggirare qualsiasi possibile parental's control, possono semplicemente farsi prestare uno smart phone, entrare in rete e digitare "free porn"? Chissà se una volta diventati adulti diventeranno professori di Porn studies, stupratori seriali o normalissimi uomini e donne con un rapporto assai più sereno col sesso, come sarebbe bello immaginare.

     

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