Paola Mariano per “la Stampa”
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Stai uscendo e non trovi le chiavi di casa. Intanto hai appoggiato il cellulare chissà dove e lo ritrovi solo chiedendo al tuo partner di farlo squillare? Niente paura, non sei uno smemorato patologico, né hai una demenza incipiente. Piuttosto sei vittima del modo in cui il tuo cervello funziona, memorizza e rievoca ricordi.
La biologia ha le sue regole, «settate» dall' evoluzione.
Ma la buona notizia è che si può ovviare a questi naturali «bug» neurali. Come? Risponde Eric Gaspar, matematico e tra i maggiori divulgatori di scienza in Francia. E' autore de «Il cervello delle meraviglie. Amplia le tue facoltà scoprendo cosa c' è dietro dimenticanze e inganni», edito da Feltrinelli.
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Professore, perché siamo smemorati?
«La capacità di ricordare un fatto o un' informazione dipende sia dal livello di attenzione che gli abbiamo dedicato al momento in cui abbiamo vissuto il fatto stesso sia dalla nostra concentrazione al momento in cui proviamo a ricordarcelo».
E questo è il secondo vincolo, giusto?
«E' legato alla natura limitata della nostra attenzione. E vale per tutti. Il cervello, infatti, può ricevere in media solo sette informazioni indipendenti contemporaneamente. Così, in ogni istante, ogni pensiero extra diventa un ostacolo per la nostra memoria».
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Ma lei sottolinea che ci sono ulteriori situazioni d «stress»: di quali si tratta?
«C' è un gran numero di situazioni che "succhiano" spazio alla memoria di lavoro, il meccanismo che acquisisce sia il presente sia il passato ed è responsabile della creazione delle connessioni.
Per esempio la stanchezza o la malattia, dato che l' attenzione si focalizzerà su questi stati, sul dolore o sulle conseguenze. Si tratta di condizioni che entrano in concorrenza con la capacità di ricordare. Non è, quindi, una questione di "testa" o età. Anche l' abitudine al multitasking tende a deteriorare la memoria, perché facendo molte cose allo stesso tempo la memoria di lavoro si satura rapidamente di informazioni».
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Esiste una soglia tra smemoratezza normale e patologica?
«Non c' è un limite alle dimenticanze che indichi una malattia. Il passaggio alla dimenticanza patologica, come accade con l' Alzheimer, è di tipo più qualitativo: lo si riconosce, o lo si può sospettare, se si dimenticano più spesso i ricordi recenti di quelli vecchi».
Eppure a tormentarci sono situazioni ricorrenti, come dimenticare dove sono le chiavi: perché sono così frequenti?
«Quando appoggiamo distrattamente le chiavi ignoriamo l' importanza che gioca sulla memoria lo "status" del luogo dove le lasciamo.
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Un tavolo, per esempio, non ha uno "status unico", perché lì si può mangiare, lavorare al computer, stirare e così via. Ha una moltitudine di usi ed è quindi rischioso metterci le chiavi (o qualsiasi altro oggetto), se le si vuole trovare in seguito, perché la casa è piena di posti senza uno "status unico". Eppure è proprio questo il riflesso che ci caratterizza: mettere le chiavi in qualsiasi posto! Ecco perché è un grosso errore».
L' alternativa, quindi?
«Se scegliamo un posto (per esempio, un cestino all' ingresso) con lo status "luogo dove metto tutto quello che ho in tasca o in mano quando torno a casa", inizieremo spontaneamente a cercare lì le chiavi».
Lei come si comporta?
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«Personalmente, a casa, adotto la strategia del cestino all' ingresso: ricette, fatture, chiavi, invece che perdere tempo a suddividere le cose in cartelle dedicate. Grazie a questo trucco sono mosso dal riflesso di cercare lì le cose. E così non le perdo più».
Spesso, però, ci ossessionano i falsi ricordi: perché?
«Si costruiscono associando informazioni compatibili tra loro, ma alcune delle quali non si sono verificate. Un esempio: se vogliamo impedire a un bambino di prendere un oggetto, possiamo pensare di metterlo in alto.
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L' altezza è quindi l' elemento che renderà compatibile con la realtà ogni falso ricordo. Ma ci sono tanti posti "in alto" (e con "status" diversi) e così è possibile che penseremo di aver messo l' oggetto in alto in un armadio, mentre si trova su una mensola in camera da letto e, quindi, la ricerca può diventare infinita».
Ma è normale aprire il frigo per prendere le uova e, dopo averlo aperto, non ricordare che cosa mi serve?
«Sì, perché il cervello lavora per associazioni. Quando pensiamo "prendo le uova e le porto al vicino", visualizziamo mentalmente "uova" e "vicino". Ma, aprendo il frigorifero, si vedono solo uova, prosciutto e verdure e non il vicino di casa! Il semplice fatto di aprire una porta è sufficiente al cervello per premere il "tasto reset" e cancellare i dati».
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Come evitare il black out?
«Per evitarlo si può, per esempio, ripetere la parola "uova" mentre si va verso il frigo».
E uscire per il latte e tornare a casa con la spesa ma senza latte?
«Non ci sarebbe il rischio di dimenticare il latte se comprassimo solo quello. Ma in genere ci diciamo: "Visto che ci sono, potrei comprare le altre cose di cui avrò bisogno".
E così il latte si perde tra gli altri oggetti, anche se era il motivo principale della spesa.
Una soluzione può essere entrare al supermercato con in mente il numero di cose da acquistare "a qualsiasi costo" (meglio se non più di tre). Prima di andare in cassa verificheremo la merce con in mente quel numero».
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Conclusione: lapsus e vuoti di memoria sono normali.
Anche se abbiamo l' impressione di perdere la testa, è la strategia adottata dal cervello: passa molto tempo a cancellare dati. E lo fa per la nostra salute mentale
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