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Giuseppe Sarcina per il "Corriere della Sera"
«Prima di gennaio sarà dura avere il vaccino, anche se sei aziende hanno già cominciato a produrre le dosi». Cristina Cassetti, 51 anni, è la vicedirettrice della Division of Microbiology and Infectious Diseases che fa capo al Niaid, l'istituto di ricerca sulle allergie e le malattie infettive, con sede a Washington e guidato da Anthony Fauci.
Cassetti è una figura chiave in questa fase: fa parte del team che coordina i sette progetti finanziati dal governo federale, a cominciare da quelli di Moderna e Pfizer, entrati da qualche settimana nella fase tre della sperimentazione. Si è formata a Roma, con un dottorato in virologia. Poi si è perfezionata negli Stati Uniti al National Institute of Health, mantenendo un rapporto di collaborazione con l'Ospedale Spallanzani di Roma.
Putin ha annunciato che in Russia sarà disponibile il vaccino anti Covid da ottobre. Ne sapevate qualcosa?
«No, non ne sapevamo nulla, poiché i dati non sono stati pubblicati. Lo abbiamo letto anche noi sui giornali. E non sono a conoscenza di contatti tra scienziati del nostro Istituto, il Nih, e russi. Ho visto che hanno testato il vaccino su 76 persone. Mi sembra un numero troppo limitato per poter essere certi che sarà efficace e che si possano escludere effetti collaterali».
Voi come procedete?
«Stiamo seguendo lo sviluppo di 7 progetti. Quelli delle aziende Moderna e Pfizer sono appena entrati nella Fase 3 della sperimentazione, cominciando a reclutare volontari. L'obiettivo è arrivare a circa 30 mila. Ci vorrà un po' di tempo. Diciamo da qui alla fine di settembre, almeno. Ma c'è un passaggio importante da tenere presente. I test avranno senso quando saranno condotti su un certo numero di positivi. Altrimenti non sarà possibile verificare l'efficacia del vaccino».
Quanti positivi su 30 mila volontari?
«Questo è un dato riservato. Posso dire qualche centinaio. In questo momento si stanno cercando persone in 100 luoghi diversi degli Stati Uniti, quelli più colpiti».
Donald Trump vuole il vaccino prima delle elezioni. O almeno annunciarlo. Vi sta mettendo troppa pressione?
«Ma noi siamo sotto pressione da gennaio scorso, quando abbiamo cominciato. Nella comunità scientifica americana è ben presente il senso di urgenza. Si stanno seguendo procedure straordinarie, mai viste prima».
Per esempio?
«Sei su sette delle aziende finanziate dal governo hanno già iniziato a produrre le dosi del vaccino».
Già adesso? Avevamo capito che si sarebbero mosse alla fine della fase tre...
«Hanno già iniziato. L'obiettivo è essere pronti con le dosi appena la Federal Drug Administration avrà completato le verifiche. Ci aspettiamo che l'autorità federale faccia le cose bene e possa dare il via libera con un provvedimento d'urgenza. Le prime dosi dei vaccini approvati potranno essere subito distribuite. Le aziende bocciate dovranno buttare via tutto e ricominciare daccapo».
Quando potrebbero arrivare le prime dosi sul mercato?
«Prima di gennaio è dura». Quanto durerà la copertura del vaccino? Un anno? «Per ora non abbiamo gli elementi per dirlo. Però dovrebbe offrire una copertura più lunga rispetto al vaccino per la normale influenza. Il virus influenzale muta molto rapidamente.
I coronavirus sono più stabili. Quindi possiamo ipotizzare che non sarà necessario un richiamo a breve. La copertura potrebbe durare anche qualche anno. Vediamo».
Il vaccino sarà disponibile su larga scala nel mondo?
«Penso di sì. Il nostro istituto sta collaborando con l'Organizzazione mondiale della Sanità, con l'Eu Funding dell'Unione europea, con alcune realtà non profit come il Cepi (Coalition for Epidemic Preparedness Innovations, sede a Oslo ndr), la Bill & Melinda Gates Foundation e con il progetto Covax della Gavi Alliance».
State collaborando con i cinesi?
«Ci sono varie collaborazioni tra scienziati americani e cinesi sulla ricerca di base del virus. Stiamo collaborando con colleghi indiani sui vaccini e abbiamo in programma altri scambi internazionali».
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