Giulia Zonca per "La Stampa"
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Per fare il pioniere le mappe servono e Nicola Bartolini ha un intero corpo inciso con le direzioni. Quando volteggia, fa ruotare tutta la sua vita, quando si ferma, immobile, all'uscita del triplo twist, poggia su un punto cardinale che si è disegnato addosso.
È il primo oro mondiale nel corpo libero della ginnastica artistica italiana e arriva dopo un'estate di risultati mai visti che lui ha mancato. Non era alle Olimpiadi di Tokyo, ma è in Giappone che si prende il riscatto. Nasce nell'anno in cui Jury Cechi tocca l'oro ai Giochi di Atlanta, 1996 ed è un predestinato che smette in fretta di seguire i passi programmati.
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Talento junior, se ne va di casa, Quartu Sant'Elena, in Sardegna, a 12 anni per traslocare nella terra della ginnastica nostrana, in Lombardia e lì diventa il giovane idolo di un fortunato reality passato su Mtv: «Vite Parallele».
Trova le ragazzine a chiedere l'autografo fuori dalla palestra: «Era elettrizzante, è durato poco, finita la serie la ginnastica è tornata a essere materia per intimi». Non è così che si perde, non è la notorietà a stralunarlo, però quando il fisico lo molla quella popolarità precoce gli torna su.
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Non la digerisce, non la smaltisce e con una spalla scassata che gli toglie la possibilità di sognare Rio 2016 decide praticamente di smettere. A quel punto i tatuaggi sono già abbondanti. C'è l'occhio di sua madre che vigila impresso sul braccio e vari teschi e forme.
Non tutto ha un significato, anche se ogni aggiunta corrisponde a un desiderio legato a un preciso pezzo di strada, la sua lo riporta sul tappeto di una palestra, a Salerno, dove si convince di restare semplicemente attaccato alle passioni di un tempo e invece si riscopre atleta.
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Ricostruito, torna a Milano dove vive a 900 metri dal posto in cui si allena, dove si fidanza, dove tutto sembra perfetto e invece si fa di nuovo male. Sempre la spalla e altri incubi solo che non c'è più nessuna intenzione di mollare, neanche quando Tokyo sfugge nonostante il bronzo europeo, il terzo della carriera.
Ormai sulla schiena ci sono 52 centimetri di inchiostro, un puzzle legato a «Saw, l'enigmista» pieno di indizi, sulla pancia un fumetto che gli è costato ore di pena e sul collo la scritta «unlucky», la sfortuna srotolata e privata di ogni potere e infatti è primo per 33 millesimi davanti al giapponese Minami.
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Ai Mondiali, con lui parte una dinastia che porterà il suo nome, è il solo azzurro ad aver vinto nel corpo libero: «È stato un lungo percorso ma ho tirato fuori gli artigli al momento giusto. Non ci credo. Ora mi devono fare una statua».
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La specialità, a questo livello, aveva visto solo il bronzo di Franco Menichelli, nel 1966, mentre è di Chechi, agli anelli di Losanna, nel 1997, l'ultima vittoria. Nel giorno di Bartolini, che detesta gli anelli e si fa chiamare Bartoleddu in omaggio alla sua terra, c'è l'argento al volteggio di Asia D'Amato (più l'argento e il bronzo di Lodadio e Maresca agli anelli), anche qui un podio inedito al femminile. Ed è proprio tutto nuovo, soprattutto Bartolini che somiglia più al Bart dei Simpson che a un ginnasta come ce lo si immagina.
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A 25 anni trova il risultato importante e cambia stile al suo sport: negli esercizi è un concentrato di eleganza, appena atterra è un rapper, anche se poi si perde nei testi più melodici di Salvo, suo cantante, meglio, paroliere preferito e si carica con il dub elettronico.
In un'intervista web registrata a marzo, si immaginava un futuro «lontano dall'Italia che non aiuta i giovani» e in effetti è difficile dargli torto, ma da quando gli hanno appoggiato il tricolore sulle spalle forse avrà voglia di far sventolare quella bandiera ancora qui. Pure dopo la ginnastica. Dipende dalla rotta che gli detterà la sua pelle.
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