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Massimiliano Scafi per "il Giornale"
E così zitti zitti, venticinque anni dopo, siamo tornati sul set dei Duellanti. Silvio che sfida Romano, Prodi che attacca Berlusconi, una volta vince l'uno, un'altra trionfa il secondo e Palazzo Chigi che diventa una gara a due. L'alternanza, ricordate? Il derby infinito centrodestra contro centrosinistra, con o senza trattino. Il Prof o il Cav, o di qua o di là. Ma adesso che è passato un quarto di secolo e i due hanno superato l'ottantina, qualcosa è cambiato: non le ambizioni né la verve, forse nemmeno il carisma. È cambiato il traguardo da tagliare. Ora è il Quirinale.
Un obbiettivo coltivato, dissimulato, negato, sussurrato, a volte già sfumato, come è successo nel 2013 a Prodi affossato dal fuoco amico di 101 parlamentari. «In realtà erano almeno 120», precisa lui. Un sogno mai del tutto accantonato e che tra qualche mese, hai visto mai, se Mattarella continuerà a chiamarsi fuori, se Draghi preferirà restare al governo per gestire riforme e Recovery Plan, se non uscirà allo scoperto un candidato istituzionale unitario, potrebbe per entrambi improvvisamente rianimarsi. Solo che nel frattempo è mutato lo schema di gioco.
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Se 25, o 15 anni fa, la loro carta migliore stava nella polarità, nella capacità di unire le forze del proprio schieramento, nella divisione netta tra le due Italie, oggi per vincere il Cav e il Prof devono guardare al centro, cercare i moderati, sperare di raccogliere voti nell'altro fronte. Basta contrapposizioni, è l'ora della diplomazia. Dal duello al duetto. Ecco dunque Romano Prodi che, a cinque mesi dalla scadenza del mandato di Sergio Mattarella, con il Corriere della Sera arriva a parlare bene del rivale di sempre. «Berlusconi dopo la caduta del Muro di Berlino riuscì a riunire i moderati creando il centrodestra. Helmut Kohl lo accolse nel partito popolare europeo e io gli chiesi che stava facendo: ma aveva ragione lui. Fi oggi è una forza europeista».
Insomma, il Berlusconi statista «è stato il capolavoro di Kohl». Il Professore, ancora scottato dai 101 congiurati, smentisce frenesie o ambizioni. «Dovunque ci sia un voto segreto si annida un rischio. Io però starò a guardare da laico, non essendo nemmeno cardinale». Intanto si fa sentire pubblicando un'autobiografia. Non si sa mai.
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Quanto al Cavaliere, la strategia è per certi versi simile e si può sintetizzare così: affidabilità totale, nessuna fuga in avanti, rispetto massimo per Mattarella e appoggio al governo Draghi. Se, per motivi diversi, i due presidenti saranno indisponibili, se non ci sarà spazio per una figura neutrale, allora si dovrà cercare un capo dello Stato politico. Sarà difficile per Pd e M5s esprimere un candidato, mentre il centrodestra ha già indicato Berlusconi. Sulla carta gli mancano trenta-quaranta voti. In fondo, per l'unico leader del Ppe in Italia, non sono nemmeno troppi.
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