1 - «TOTALE CARENZA DI PROVE SU SAIPEM»
Alessandro Da Rold per “la Verità”
Mentre la procura di Brescia indaga su un presunto traffico di influenze e abuso d' ufficio intorno al processo sul giacimento Opl 245 in Nigeria, sono state depositate le motivazioni di assoluzione di Saipem nel filone Algeria. E la corte d' appello di Milano - seconda sezione penale presieduta da Giuseppe Ondei - mette nero su bianco tutti gli errori del pool del pm aggiunto Fabio De Pasquale che aveva indagato sulla controllata per una presunta tangente da 197 milioni di euro spartita tra politici e dirigenti, intermediata anche da un mediatore algerino, Farid Bedjaoui.
Descalzi Scaroni
Si tratta di una sentenza che potrebbe fare avere un impatto anche sul il caso Opl-245, processo che va avanti da anni, ancora in attesa della requisitoria dei pm e delle arringhe di difesa a maggio o giugno. Nel processo a carico di Saipem - società di ingegneria controllata da Eni al 30% insieme con Cdp (12,55%) - i giudici arrivano a definire inammissibile persino lo stesso appello nei confronti di Eni, data «l' assoluta genericità dell' imputazione» che «si è riflessa nell' inammissibile inesistenza dei motivi di impugnazione riguardanti la posizione» dell' azienda.
Anche perché, il pubblico ministero non avrebbe fatto abbastanza «approfondimenti» e si sarebbe limitato «a chiederne la condanna alle sanzioni amministrative pecuniarie ed interdittive»Nelle 259 pagine si parla di «assoluta carenza di prova circa le asserite irregolarità procedurali» o anche di documenti fondati «su note aperte non verificate» e soprattutto della mancanza di «una dimostrazione rigorosa degli altri elementi costitutivi del reato di corruzione internazionale ascritto agli imputati». Secondo i giudici manca anche un «nesso cronologico tra le operazioni» contestate.
LA NAVE SAIPEM 12000
A questo si aggiunge, che «non è provato neppure il presunto trattamento economico di favore nei confronti di Eni». Manca gran parte dell' impianto accusatorio, secondo la corte d' appello. E mancano anche i soldi della corruzione. Tanto che nelle motivazioni, è sempre la corte a spiegare come «appare singolare che a fronte dell' approfondito esame della Guardia di Finanza [] il Tribunale ha fornito una soluzione semplificata, ritenendo provata la corruzione anche se il denaro proveniente da Saipem non fosse mai pervenuto all' uomo politico [...]».
I giudici Ondei, Alberto Puccinelli e Maurizio Boselli, rimarcano anche che «occorre ribadire con forza che per il perfezionamento della fattispecie corruttiva deve essere fornita la prova della promessa o della consegna dell' utilità promessa». E in particolare che «tanto più evanescente è la dimostrazione del patto corruttivo tanto più rigorosa deve essere la prova della dazione illecita dal corruttore al corrotto.
In quel processo chiuso il 15 gennaio sono stati tutti assolti, anche chi era stato condannato in primo grado per corruzione internazionale.
Anche l' ex amministratore delegato Paolo Scaroni, imputato insieme con l' attuale Claudio Descalzi nel filone sull' Opl 245, aveva avuto conferma dell' assoluzione dopo quella in primo grado.
SAIPEM ALGERIA
Tutte le cifre contestate erano state restituite. Di quell' accusa portata avanti dal pm Isidoro Palma è rimasto in piedi poco, tanto che non è ancora chiaro se ci sarà un ricorso in Cassazione: c' è tempo fino a maggio.
2 - «I SOLDI ALL'INTERMEDIARIO NON PROVANO LA CORRUZIONE»
Luigi Ferrarella per il “Corriere della Sera”
Alzano l' asticella della «corruzione internazionale», a una misura di prova quasi mai raggiungibile dall' accusa, le ragioni con cui la II Corte d' Appello milanese spiega l' assoluzione il 15 gennaio dell' ex ad Eni Paolo Scaroni e dei coimputati nel processo per appalti Saipem in Algeria.
FABIO DE PASQUALE
«La sola prova del pagamento di somme all' intermediario» - 197 milioni di commissioni Saipem nel 2007-2010 alla scatola vuota hongkonghese «Pearl Limited» del francolibanese Farid Bedjaoui, intimo dell' allora ministro algerino dell' Energia Chakib Khelil - «non esaurisce l' onere dell' accusa di dimostrare che il denaro sia stato promesso o versato al pubblico ufficiale estero», e che costui almeno «abbia assentito al patto corruttivo mediato dall' intermediario»: anche «la remunerazione del mediatore non può essere scambiata per una tangente, tenendo conto che molte imprese si avvalgono di agenti del luogo in Paesi molto diversi per cultura e legislazione».
Farid Bedjaoui images
Per l' Appello «non c' è stata alcuna ritrattazione» nell' accusatore (manager Saipem) Pietro Varone, perché «non c' era stata alcuna chiamata in correità» da chi «ripetutamente aveva escluso di aver mai saputo di denaro al ministro». E l' altro accusatore Tullio Orsi, che pur patteggiò, «ha fornito mirabilanti oscillazioni smentite dai documenti».
I pm obiettavano che «non si può pretendere la prova che ogni banconota avesse il timbro del cane a sei zampe...», e usavano la metafora della «piscina colorata» (le società di Bedjaoui e di Omar Habour) nella quale in entrata si mescolavano tangenti di varia provenienza (compresa Saipem) su cui il ministro sapeva di poter contare. Ma per i giudici Ondei-Puccinelli-Boselli «la teoria è stata proposta dal pm quando è apparso chiaro che la ricostruzione dei flussi escludeva soldi Saipem al ministro...».
CHAKIB KHELIL
«La sola presenza» dei nomi dei fiduciari svizzeri di Bedjaoui nel telefonino del ministro «non assume un particolare valore probatorio», o le procure bancarie rilasciate da Habour alla moglie del ministro «possono trovare spiegazione nei progetti a scopo benefico della signora». Tranciante sul filone Eni, la Corte straccia infine come «inammissibile» l' appello dei pm contro l' assoluzione in Tribunale della società, addebitando alla Procura l' errore di «aver mancato di enunciarne le ragioni».