Domenico Quirico per “La Stampa”
vladimir putin
Alla fine, come dubitarne, le democrazie e l'arte occidentale della guerra prevarranno. Ma... Al quinto mese di guerra in Ucraina alcuni conti non tornano, si intravedono, più acremente, cattivi indizi profetici.
Per esempio: che Putin è sempre saldamente al potere mentre due dei suoi più fervidi avversari, Johnson il leone britannico, e Draghi, l'uomo del celebre pellegrinaggio in treno a Kiev, sono caduti, azzoppati dalle infinite e virtuose trappole della democrazia parlamentare. Impiccio di cui Putin non deve certo fare conto. Per la verità anche un altro uomo del triunvirato del treno, il presidente francese Macron, monarca repubblicano, è dimezzato da un destino elettorale infausto che ne limita le possibilità di manovra.
Insomma al Cremlino festeggiano. E scrutano altri Palazzi, in Europa e soprattutto negli Stati Uniti, dove i locatari potrebbero essere in breve tempo costretti a occuparsi piuttosto che delle offensive di Zelensky della loro sopravvivenza politica.
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Putin vi scorge, è certo, la conferma della teoria su cui ha imbullonato questa azzardoso e spietato assalto all'Occidente. Ovvero il disprezzo per le democrazie troppo sfacciatamente accanite, secondo lui, a vivere e accudire il proprio ossessivo ed egoistico benessere per avere la forza di affrontare sul serio una guerra vera, impastata di sangue, sacrifici, lutti, povertà.
Insomma l'Occidente è solo uno ziggurrat dedicato alla gioia di consumare. E questo consumare è il suo ottavo peccato capitale e l'inferno in cui vuole precipitarlo. Lui ha tenuto i russi nella povertà, negandogli il burro in cambio dei cannoni; è sicuro che alla fine vincerà. E vedrà cadere uno dopo l'altro, scarnigliati non dalle sconfitte militari visto il trucco di far la guerra, almeno per ora, da dietro le quinte ma dalla quotidiana usura della aspra crisi economica.
dimissioni boris johnson
Il Pil che ci ha reso grandi ci ucciderà. Un concetto, o una drammatizzazione allucinatoria, che Putin ha estirpato non dalla faticosa lettura di qualche bislacco ''raskolnico'' slavofilo sopravvissuto a tutte le catastrofi della santa madre Russia. Semmai fa parte della ben conservata reliquia genetica del buon senso staliniano, modello Kgb.
Stalin disprezzava gli occidentali, l'unico per cui provava un categoriale rispetto era Hitler che come lui aveva il coraggio di massacrare senza batter ciglio milioni di persone. Sono passati già cinque mesi e tra salme di città ucraine e voti di sfiducia europei srotoliamo l'angoscia per una realtà che sembra dar ragione allo zaretto.
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Spariscono volti del pianeta democratico, restano quelli elementari, tremendi, colmi di un selvatico, tetro potere dell'altra parte: Putin, Lavrov, la Zacharova. Alcuni cremlinologi ed economisti salivosi, fermi alle arie del Boris Godunov, ci avevano assicurato che Putin avrebbe resistito al massimo qualche settimana tra golpe, congiure, malattie, default catastrofici di banche centrali e periferiche, armate sconnesse, gasdotti divenuti inutili e goffi fast food alla sovietica senza patatine.
Avevano una chiave per aprire tutto. E invece... È il "podpol'e'', il sottosuolo delle democrazie che è scheggiato, ma non per l'andamento della guerra che pure non è soddisfacente. Armi e soldi occidentali sembrano fondere sotto l'avanzata russa, implacabile come un destino crudele. Si muovono gli strati profondi, disarcionando i leader, per gli effetti indiretti della guerra, per l'economia: prezzi delle materie prime, inflazione, caos nei mercati globali che la nuova guerra fredda ha tagliato come vene.
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Confessiamolo: è la Gazprom la vera arma segreta di Putin a cui non riusciamo da cento e più giorni a metter davvero rimedio. Per aggirarla ci affratelliamo, rendendoli ancora più ricchi e saldi nel vergognoso potere, a una bordaglia di cleptocrati di ogni continente, dall'Algeria all'Angola all'Azerbaijan, all'Arabia Saudita, insudiciandoci.
Tutto per non dover spiegare con lealtà alle opinioni pubbliche democratiche che non ci sono guerre giuste ma semmai guerre necessarie. E che sono una ragione per affrontare con dignità e coraggio sacrifici ben più duri che i due gradi in meno del termosifone. Ci vuole coraggio per dirlo, ma è più dignitoso cadere per questo che per un party alcolico o la bega del termovalorizzatore. E solo così i tiranni come Putin, alla fine, perdono la guerra.
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