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    “PUTIN NON È PIÙ UN UOMO SOLO” - GLEB PAVLOVSKIJ, EX CONSIGLIERE PERSONALE DELLO ZAR E OGGI UNO DEI POCHI CRITICI TOLLERATI DAL CREMLINO, ACCENDE UN FARO SULLA CERCHIA DI POTERE INTORNO ALLA FIGURA DEL PRESIDENTE: “SEMBRA CHE COMANDI SOLO LUI, MA È UN ERRORE. UN TEMPO ANDAVO MOLTO FIERO DEL FATTO CHE ERAVAMO RIUSCITI A CREARE LA SENSAZIONE CHE PUTIN GOVERNASSE TUTTO NEL PAESE. ERA UN TEATRINO POLITICO NECESSARIO. MA CI SONO FORZE INDIPENDENTI DAL GOVERNO, GROSSE CORPORAZIONI E BANCHE, CENTRI DI POTERE ALTERNATIVI CHE DECIDONO DELLA SUA STABILITÀ. LA PACE? DIFFICILE…”


     
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    Marco Imarisio per il “Corriere della Sera”

     

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    «Ma non parliamo di Medvedev, lo sanno tutti come è conciato...». E con un gesto inequivocabile, lascia capire qual è il male che affligge l'ex presidente della Russia, autore dell'ormai celebre frase sull'odio verso l'Occidente. Tanto estroso quanto acuto, Gleb Pavlovskij si gode il terzo tempo di una vita molto intensa. Dissidente perseguitato dall'Urss, pioniere del web russo, nonché consigliere personale di Vladimir Putin dal 1996 al 2011, oggi uno dei pochi critici del Cremlino ancora su piazza, tollerato in virtù del suo passato. Non c'è nessuna strategia dietro queste continue dichiarazioni ostili al mondo intero. Piuttosto, si tratta del tentativo di riempire un vuoto ideale che esiste ormai da quasi dieci anni, eliminando un occidentalismo liberale del quale le nostre élite sono comunque impregnate».

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    Per sostituirlo con cosa?

    «Questo è il vero problema. Una narrativa diversa al momento è assente, forse ce l'hanno solo alcuni gruppi di potere. Quindi c'è il tentativo di trasformare questa deriva periferica in un racconto mainstream, dietro al quale si nasconde però il nulla».

     

    Fin dove vuole arrivare il Cremlino?

    «Si tratta di pura retorica, e in quanto tale non ha limiti. La si può esasperare a piacimento, e Medvedev ne è un buon esempio, con le sue invettive da piccolo commerciante al bazar».

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    Ieri la speaker della Camera Alta, Valentina Matviyenko, ha replicato sostenendo che la Russia non è antioccidentale. Esiste una spaccatura al vertice?

    «Quando parlate di trame o complotti, fate l'errore del degustatore. Trasformate i vostri auspici in certezze, come quando esaltate la fuga di reduci del passato, come accaduto con Anatoly Chubais. Stiamo assistendo a una rappresentazione. Al Cremlino lo sanno tutti che è impossibile riconvertire un Paese che da trecento anni guarda all'Occidente».

     

    Le dichiarazioni sulla creazione di un nuovo ordine mondiale non vanno prese sul serio?

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    «Questo è un altro discorso. Perché dicendo che il bipolarismo è finito, Putin afferma una verità incontestabile. L'Occidente sorregge l'attuale sistema delle istituzioni mondiali, economiche e politiche. Ma sicuramente non può più rivendicare un monopolio».

     

    Come finirà?

    «Sia in Ucraina che in Russia, purtroppo, è stata compromessa la stessa idea di un'intesa. Il crollo degli accordi di Minsk ha distrutto il concetto di diplomazia. Quindi, sarà difficile arrivare alla pace. E poi, più peggiora la situazione degli ucraini sul campo, più si abbassa la disponibilità di Mosca a un compromesso».

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    Una Russia autarchica e isolata dall'Occidente può sopravvivere?

    «Questa utopia della Russia autarchica è la cosa peggiore che Putin sta facendo al suo popolo. Perché non è possibile, semplicemente. La Federazione russa è un progetto ultra-globalizzato, non potrà mai trasformarsi in una economia chiusa. In un regime di crisi, si dovranno cercare vie traverse per sostituire quella globalizzazione di cui la Russia è stata un fattore».

     

    Il potere di Putin è stabile?

    «Sembra che comandi solo lui, ma è un errore. Un tempo andavo molto fiero del fatto che eravamo riusciti a creare la sensazione che Putin governasse tutto nel Paese. Era un teatrino politico necessario, perché il Paese era assai nostalgico di una vera leadership. La tesi "Putin decide tutto" è molto comoda perché toglie l'ansia e oscura la visione di quello che succede davvero. Ma è chiaro che ci sono anche forze indipendenti ormai dal governo, grosse corporazioni e banche, centri di potere alternativi. Sono loro a decidere della stabilità di Putin».

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    Dopo di lui?

    «Il fenomeno Putin è stata una eccezione nata in tempi disperati come la Russia di fine anni Novanta. Dopo, verrà un Putin collettivo, sotto forma di una direzione collegiale. Non è detto che sia un male. Periodi del genere, nel nostro Paese, sono stati pochi ma fruttuosi, come fu con Kruscev e Gorbaciov. Perché di solito sono legati a un periodo di rinnovamento».

     

    La verticale del potere sopravviverà a Putin?

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    «La Federazione russa non rappresenta un sistema formato, stabile e razionale. Con Eltsin è stato abbandonato il processo di Nation building. L'idea di costruire uno Stato nazionale normale era troppo complicata e pericolosa. E di certo Putin non l'ha raccolta».

     

    Quanto valgono i sondaggi sulla sua popolarità?

    «Poco. Il potere vorrebbe che fossero indicatori del consenso. Ma non ne terrebbe in quantità industriali se tale consenso esistesse davvero. Il potere sovietico non faceva sondaggi, non gli serviva. È solo un problema di assuefazione. La gente non ha scelta, si dice d'accordo con quel che viene mostrato con messaggi carichi di emozioni, che quasi colpevolizzano chi non si esalta».

     

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    È sempre stato così?

    «Nel primo decennio del nuovo secolo, io scrivevo messaggi ai vertici per dire che bisognava presentare le notizie e le nostre scelte in un certo modo. Allora la tivù era molto noiosa. Poi è arrivata l'Ucraina, che dal 2014 ha fornito un conflitto reale. Così è nata la propaganda di oggi, che agisce anche su chi governa. Sarà ben difficile cambiare la percezione della gente. Per questo non ci saranno bruschi cambi di potere: occorreranno decenni per avere una Russia diversa».

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