Marco Imarisio per il “Corriere della Sera”
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«Tra volare o essere invisibili, quale superpotere sceglieresti?» Brittney Griner ci pensò sopra per un attimo. Poi rispose che le sarebbe piaciuta di più l'invisibilità. In un bellissimo articolo sul Guardian, la regista statunitense Melissa Johnson, autrice anche di un film-documentario sul basket femminile, aveva rievocato uno dei suoi ultimi incontri con la cestista detenuta dallo scorso 17 febbraio in un carcere russo dopo essere stata fermata all'aeroporto di Mosca per possesso di droga. «Vorrei che non avesse mai fatto quella scelta», aveva scritto.
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Ieri pomeriggio, il tribunale di Mosca ha allungato di un mese la detenzione preventiva della cittadina statunitense. Sta per cominciare il processo. E forse sta per finire l'invisibilità che ha inghiottito una delle più importanti cestiste americane. Con un accordo sottobanco che rincuora chi ancora ripone qualche flebile speranza nelle virtù della diplomazia.
Proprio ieri le agenzie Tass e Interfax e i giornali Kommersant e Izvestiya hanno pubblicato una notizia clamorosa. «Sono in corso trattative per uno scambio» tra Griner e il trafficante d'armi Viktor Bout detenuto nello Stato americano dell’Illinois.
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E se i media statali russi, citando fonti interne dei Servizi segreti, definiscono «estremamente probabile» che la trattativa vada in porto, significa che potrebbe succedere davvero. Nessuno immaginava che la contropartita russa potesse essere questo personaggio dai contorni romanzeschi.
Bout, 55 anni, è stato arrestato il 6 marzo 2008 in Thailandia e poi estradato negli Usa dove è stato riconosciuto colpevole di aver venduto armi alle Forze armate rivoluzionarie della Colombia. I media occidentali lo chiamano «il barone delle armi» e i servizi segreti americani lo considerano uno dei più grossi trafficanti del mondo.
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Ex interprete militare, dopo lo scioglimento dell'Urss si era messo in proprio occupandosi di trasporti aerei commerciali nella Repubblica sudafricana e poi negli Emirati Arabi. A metà degli anni '90 venne associato alle forniture illegali di armi in Afghanistan e in una serie di Paesi africani.
Non mancano i sospetti e le accuse su contrabbando di diamanti e riciclaggio del denaro. Alle sue gesta è ispirato il personaggio interpretato da Nicolas Cage nel film «Lord of war».
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Anche Griner non è certo una sconosciuta. Due metri e 6 centimetri di statura, lunghi capelli rasta che porta fin dall'inizio della carriera. Una delle atlete più conosciute del basket femminile, all'università la prima a essere nominata miglior giocatrice della stagione e della sua fase finale, riuscendo al tempo stesso anche a vincere il titolo.
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Una volta diventata professionista, è entrata nel libro dei record per aver segnato duemila punti e realizzato cinquecento stoppate in una sola stagione. Sostenitrice del movimento Black lives matter, in nome del quale lo scorso anno inscenò una clamorosa protesta, con la sua squadra che uscì dal campo durante l'esecuzione dell'inno americano.
È anche una attivista della comunità Lgbt americana, la prima campionessa dichiaratamente lesbica ad avere firmato un contratto di sponsorizzazione con la Nike.
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Nel suo bagaglio, disse la Polizia di frontiera, era stata scoperta una bottiglietta contenente olio di cannabis, una sostanza legale negli Usa ma proibita in Russia, dove in materia di stupefacenti è in vigore una delle legislazioni più severe del mondo. Come molte altre sue colleghe, nei tempi morti della stagione della Nba femminile Griner aveva un contatto in essere con una squadra d'oltreoceano, in questo caso l'Ummc di Ekaterinburg.
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È stata accusata di traffico internazionale di droga, che prevede una pena massima di venticinque anni di reclusione, guarda un po' la stessa che sta scontando Bout in America. Secondo i suoi avvocati, la disparità tra il reato commesso e l'imputazione dimostrava già l'intenzione delle autorità russe di usare Griner come pedina di scambio con qualche detenuto russo incarcerato negli Usa.
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La scelta di parlarne il meno possibile era una tattica. La stessa famiglia dell'atleta aveva fatto appello alla massima discrezione, intervenendo sui social con la richiesta agli utenti che invocavano la liberazione, di non dare risalto alla vicenda. Tenere un profilo basso.
Perché un'ampia cassa di risonanza al caso-Griner avrebbe appunto aumentato il valore della prigioniera, allungandone quindi i tempi di rilascio. Ma questa strategia non ha funzionato. All'inizio di maggio il Dipartimento di Stato Usa uscì allo scoperto, definendo «illegittima» la detenzione della campionessa. Era l'ammissione di un fallimento.
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Forse, è stato anche il momento in cui è cominciata davvero la trattativa che ben presto potrebbe portare allo scambio di prigionieri. Chi vuole, può leggere in questo baratto anche un piccolo segnale del fatto che nonostante i toni durissimi di questi giorni tra Usa e Russia, qualche canale di comunicazione sotterraneo è ancora in funzione.
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Chissà. Forse l'imminente rilascio di Griner è una buona notizia, non solo per lei, che ha comunque vissuto mesi tremendi. «Il mio incubo peggiore», aveva confidato anni fa alla sua amica Melissa Johnson, «è che tutti si dimentichino di me e io finisca per rimanere sola».
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