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    "QUANDO È ALLA FRUTTA, INVECE DI ARRENDERSI, VA IN UN ANGOLINO A VOMITARE E TORNA SUBITO IN PISTA" - L'EX "CAVALLETTA" PAOLO CAMOSSI, NEL 2001 CAMPIONE MONDIALE DI SALTO TRIPLO, ALLENA DAL 2015 IL "GIAGUARO" MARCELL JACOBS, COME LO CHIAMA LUI: "NESSUN SEGRETO, LUI SPRINTA A ROMA TRA BAMBINI E PENSIONATI, A 35 CHILOMETRI ALL'ORA. DUE ALLENAMENTI AL GIORNO, 11/13.30, 17/19.30, SETTE GIORNI SU SETTE. IO QUANDO SALTAVO AVEVO LA RABBIA DENTRO E ODIAVO I MIEI AVVERSARI, LUI L'ESATTO CONTRARIO..."


     
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    Marco Bonarrigo per il "Corriere della Sera"

     

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    Ogni giorno che Dio manda in terra - che diluvi o soffi uno scirocco stordente - il Giaguaro e l'ex Cavalletta calano alle 11 in punto dalla Collina Fleming al Paolo Rosi, il vecchio Stadio delle Aquile che a quell'ora già pullula di pensionati e turnisti romani sgambettanti.

     

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    I due parcheggiano i borsoni nell'angolino verso il Tevere e cominciano le loro tre ore di ordinaria fatica. Paolo Camossi, dal 2015 allenatore di Marcell Jacobs, ha un passato di cavalletta d'alto livello: nel 2001 è stato campione mondiale di salto triplo.

     

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    «Marcell invece - spiega Camossi - è un giaguaro. I giaguari dormono, ciondolano e solo al momento giusto si avventano sulla preda. Ho pensato ai giaguari quando ho sostituito i classici giretti di pista preliminari con stretching e allunghi: le belve non fanno riscaldamento».

     

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    La strana coppia (un friulano che si definisce «realizzatore di sogni», un bresciano sognatore) si incrocia nel 2013. «Gianni Lombardi, all'epoca il bravissimo allenatore di Marcell - spiega Camossi - partiva per un raduno e mi chiese di seguire il suo pupillo per tre settimane. Marcell arrivò a Gorizia fresco di patente, capelli dritti alla Napo Orso Capo, sguardo un po' insolente. In pista vidi un ragazzino con una potenza imbarazzante ma incontrollabile. Ci siamo piaciuti e tenuti in contatto. Ho cominciato a seguirlo dal 2015 e tre anni fa, mentre cenavamo alla mensa del centro di preparazione olimpica, ci siamo simultaneamente detti che sarebbe stato bello trasferirci a Roma con le famiglie. Abbiamo scelto un quartiere che è un po' un paesotto, dove ci sentiamo a casa: chi dice che Roma non è una città adatta a un atleta dice male».

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    Due allenamenti al giorno («11/13.30, 17/19.30, precisi come operai, disadattati come può esserlo solo chi fa il nostro lavoro») per sette giorni a settimana. Alla faccia di chi si prepara in stadi chiusi al pubblico, «Marcel sprinta a 35 all'ora tra i bambini delle scuole di atletica e gli attempati amatori a cui non si nega mai perché, al netto di bicipiti e tatuaggi inquietanti, è l'uomo più buono del mondo. Io quando saltavo avevo la rabbia dentro e odiavo i miei avversari, lui l'esatto contrario. Rispetta tutti, tutti lo rispettano».

     

    Jacobs storce il naso solo quando coach Camossi gli chiede di «sciacquare le gambe», ovvero di «fare 10 o 12 volte 120 metri all'80 per cento delle sue possibilità (in circa 13", ndr), un allenamento atroce che piazziamo una volta ogni dieci giorni e che gioca un ruolo molto importante. Un tempo cercava scuse per saltarlo, adesso quasi mi chiede lui di metterlo nel menù. E quando è alla frutta, invece di arrendersi, va in un angolino a vomitare e torna subito in pista».

     

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    Quando il Paolo Rosi è chiuso si va alla Farnesina, quando si deve sprintare nella «gabbia» dietro motori è il turno del solenne Stadio dei Marmi, per palestra e fisioterapia c'è il Giulio Onesti: tutto nel raggio di un chilometro.

     

    «Ci trasciniamo dietro un sacco di materiale - spiega Camossi - e altro ce ne servirebbe: un verricello che lo faccia correre contro resistenza, ad esempio. Magari adesso lo troveremo ma non dimenticherò mai che la prima pressa su cui Marcell faceva esercizi era una panchina dove avevo montato le rotelle di un carrello per la spesa».

     

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    Pur sviluppando allenamenti dove la componente scientifica è decisiva, Camossi privilegia i suoi occhi come monitor: «Durante ogni esercizio - spiega - lo seguo con gli occhi tenendo il telefonino in mano per registrare il video. Cerco le andature giuste ma cerco anche segnali di allarme. Se un piede appoggia in modo strano potrebbe esserci un problema da prevenire: quando un atleta si infortuna, come lui a Rieti due mesi fa, è sempre colpa dell'allenatore che non l'ha protetto. Attorno a Marcell adesso c'è uno staff che - dal vivo o in video - è pronto a intervenire».

     

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    La Roma opulenta della Camilluccia e quella della movida di Ponte Milvio restano sullo sfondo: «L'attraversiamo sempre controcorrente - spiega Camossi - la usiamo per rilassarci al cinema o a teatro e per trasgredire con un McDonald ogni tanto. Adesso che sono rientrato e aspetto Marcell, sto cominciando a chiedermi cosa significherà allenare un campione olimpico, tornare al Paolo Rosi, mettere Parigi nel mirino. Se penso a tutti i casini e gli infortuni che abbiamo superato mi viene da dire a Pippo Tortu - che è un gran talento e un bravo ragazzo - che non c'è problema fisico o mentale che non si possa superare. Quando l'ha abbracciato a Tokyo, Marcell voleva dirgli questo: verrà il tuo turno amico mio».

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