1. ROSSI SI DIMETTE - E LA PORTABORSE BATTE IL SOTTOSEGRETARIO
Filippo Ceccarelli per la Repubblica
PORTABORSE
Oh potenza degli anniversari! A trent' anni esatti dall' istituzionalizzazione dei portaborse vengono fuori, in simultaneo intreccio narrativo e televisivo, due storie. Quella misera e crudele di una giovane assistente parlamentare sfruttata e insidiata dal suo onorevole.
E un' altra, più desolatamente familistica, del figlio di un sottosegretario che il padre ha dato "in affidamento" al medesimo onorevole, che l' ha assunto e lo stipendia senza che faccia nulla.
E allora, in barba all' oblio, vale la pena di ricordare che quando nell' autunno del 1987, dopo incessanti geremiadi, venne approvata una delle norme più ambigue della storia parlamentare, ci fu anche chi disse che il pastrocchione avrebbe portato a questo.
Nel 1991 Il portaborse di Daniele Luchetti fu un vano cine-presagio su una disciplina "transitoria" destinata a farsi perenne. Di lì a poco, oltretutto, un' intera leva di assistenti parlamentari furono ridotti a poltiglia da Mani Pulite. Alcuni si immolarono per salvare quanti li avevano presi per chiamata diretta ( intuitu personae, fantasticamente); altri, senza immunità, finirono dritti in carcere.
daniele luchetti silvio orlando nanni moretti il portaborse
Da allora si può dire che all' originaria ambiguità circa la figura, la scelta, il ruolo e le mansioni del portaborse venne a sommarsi la più ipocrita rimozione; e l' assistente parlamentare prese il nome anonimo di "rimborso forfettario" o quello plurale di "spese di segreteria e rappresentanza". E la giungla crebbe insieme alla palude.
Li incontravi, i portaborse, nei meandri più periferici della città politica, nascosti in luoghi sperduti e per lo più malsani, nei sottoscala bui di Palazzo Raggi, o sotto i soffitti bassi e polverosi dell'"ex Colombo", agli Uffici del Vicario, come pure nei labirinti cunicolari di vicolo del Valdina. Erano (e sono) i fusibili della macchina politica, eppure vissuti come entità fantasmatiche: mitici pensionati che conoscevano la Pubblica amministrazione meglio del professor Cassese, promettenti esperti di drafting e diritto parlamentare, stregoni dei computer, maghi della "raccomanda", ex "quadri" rovinati dalla fine del partito ideologico, assistenti in multi-proprietà e in cooperativa, tecnici di segreteria necessariamente girovaghi, a destra, a sinistra, al centro, nella legione straniera del gruppo misto e ritorno.
PORTABORSE
C' erano gli "anfibi", metà portaborse e metà lobbisti; gli "affrancati", ex portaborse fortunosamente entrati "in delibera" e quindi entrati a far parte, senza più catene, del personale dei gruppi. Dulcis in fundo - e già da allora - gli "scambisti", ossia mogli e figli di deputati arruolati da colleghi dei mariti, che a loro volta contraccambiavano lungo le aggrovigliate simmetrie di un misero potere gregario, ma pervasivo.
Giunsero anche in Europa: Bossi, per dire, spedì a Bruxelles il fratello esperto di ciclismo e il figlio, Riccardone, per "aiutare" Speroni e Salvini. E poi nelle regioni, con ventuplicazione di personale e di impicci: concorsi calabri, ripensamenti lombardi, casini in Veneto, per non dire che in Emilia un portaborse si è preso la colpa di aver comprato con soldi pubblici un sex toy.
Tutto questo non giocò a loro favore, poveracci, come documentano testi di canzoni di Renato Zero, Guccini e Cristicchi; e se Giorgio Manganelli li chiamava «reggiborse», Alemanno, quando prese a girare in moto, inaugurò il ruolo del reggicasco. Quindi organizzarono anche partitelle di calcio e serate, "Assistent night", al Gilda. Nacquero i primi sindacati e si accesero le più intricate controversie giurisprudenziali.
le iene su onorevole caruso e sottosegretario rossi
Nel ventennale, 2007, sempre le benemerite Iene scoprirono che su 683 portaborse solo 54 avevano un contratto regolare. I due presidenti sindacalisti delle Camere, Bertinotti e Marini, proclamarono solenni impegni, te li raccomando.
In bilico fra precariato e illegalità, mai assunti per quanto sempre licenziabili, alcuni paria della Casta maturarono propositi di rivolta, vendetta, tradimento. Con il nickname collettivo di Truman Spider, maschere e voci contraffatte, presero a divulgare in video, blog, pagine di Fb i segreti dei loro datori di lavoro.
Il venticinquennale, 2012, fu celebrato in un processo a Palermo che ruotava attorno all' assistente parlamentare di un senatore e riusciva a tenere insieme: narcotraffico, contatti con la mafia, giro di escort, mercato delle candidature, finanziamenti al San Raffaele, ricatti, telefonate con ministri e altre fior di delizie. Rispetto alle due storie di questi giorni viene quasi un sospiro di sollievo.
le iene su onorevole caruso e sottosegretario rossi
2. PERCHÉ DICO GRAZIE A FILIPPO ROMA DELLE IENE PER IL CASO DI MARIO CARUSO E DOMENICO ROSSI
Roberto Arditti per www.formiche.net
Grazie, mille volte grazie alle Iene e a Filippo Roma per il memorabile servizio dedicato all’improbabile onorevole Mario Caruso, al sottosegretario Domenico Rossi e al suo simpatico figlio scavezzacollo Fabrizio, con la complicità della stagista anonima (anch’essa piuttosto improbabile, oltreché viziata da un drammatico accento romanesco degno di un film con Tomas Milian).
la stagista e l onorevole caruso
Grazie non tanto per aver scoperchiato il pentolone delle assunzioni di favore (il figlio di Rossi in carico al collega di partito Caruso), monumento vivente all’Italietta della raccomandazione prêt-à-porter, di cui, caro generale Rossi, il mondo delle alte burocrazie nostrane (comprese quelle militari) è campione del mondo.
Anche se, aprendo una parentesi, vorremmo sapere cosa ne pensano l’irreprensibile presidente Laura Boldrini ed il collegio dei questori della Camera, poiché il contribuente paga un cittadino italiano per lavorare da una parte mentre l’interessato fa tutt’altro al servizio del padre, peraltro membro del governo.
FILIPPO ROMA DOMENICO ROSSI
E neppure grazie per aver messo in luce un altro memorabile vizio nazionale, quello delle dimissioni parziali ed innocue, visto che il sottosegretario di fronte ad una storia oggettivamente impresentabile decide di sospendersi dalle deleghe di governo, che è ben altra cosa dal dimettersi a tutti gli effetti (e anche qui saremmo grati al ministro Roberta Pinotti se ci mettesse a parte della sua opinione).
Noi vogliamo ringraziare Filippo Roma per aver svelato ciò che solo il senatore Antonio Razzi ci aveva fatto intuire (con la collaborazione soave di Maurizio Crozza): abbiamo in Parlamento gente come l’onorevole Caruso che non parla la lingua italiana. Egli infatti farfuglia, con tono allusivo e spesso minaccioso, mettendo in fila parole a caso sperando che l’algoritmo installato dal Buon Dio nella sua testolina vuota faccia il miracolo di mettere tutto a sistema, creando così delle frasi di senso compiuto.
FILIPPO ROMA DOMENICO ROSSI
Uno scempio esilarante ascoltare questo improbabile eletto del popolo, per la cui penosa elevazione in vetta allo scranno di deputato saremo per sempre irriconoscenti a Gianfranco Fini, che lo volle in lista con Mario Monti nella quota riservata al suo partito (vabbe’, oggi siamo indulgenti sul fronte lessicale). Un danno, quello di aver portato in Parlamento l’onorevole Caruso, al cui confronto la vicenda della casa di Montecarlo appare come una bazzecola, un peccato veniale, una distrazione per amore (parentale, as usual).
roberto arditti
Ora il nostro pensiero va al camerata Mirko Tremaglia, che volle fortissimamente la legge per allargare alle circoscrizioni estere il nostro sistema elettorale. Lodevole intento di un gentiluomo di destra, roccioso bergamasco dal cuore tenero.
Oggi però di fronte agli strafalcioni del grottesco onorevole Caruso possiamo dire che quel tentativo è definitivamente fallito. Già Razzi con la sua passione per la Corea del Nord ci aveva fatto capire che qualcosa di sbagliato c’era nel nocciolo di quella intuizione.
Adesso però ne abbiamo la prova assoluta. L’onorevole Caruso è la Cassazione, la sentenza definitiva, il verdetto inappellabile.
GIANFRANCO FINI E MARIO MONTI
Questa vicenda umana e (poco) politica degli eletti all’estero è una monumentale fesseria, evitando di usare un’espressione tanto cara al rag. Fantozzi (solo per carità di patria). Prima la chiudiamo e meglio è.
Mirko Tremaglia