Notizie tratte da: Maria Luisa Agnese, “Anni Sessanta. Quando eravamo giovani” (Ed. Neri Pozza), selezionate da Giorgio dell’Arti per “il Fatto quotidiano”
Mina anni sessanta
Lungagnona. “Cinquant’anni spaccati fa, una lungagnona col vestito da cocktail sottratto di nascosto alla madre saliva sul palco traballante di una balera lombarda. Si ricorda che l’abito era blu e bianco. Lucido. Si ricorda che dopo aver cantato la prima canzone – il titolo? no, è troppo – si arrabbiò perché la gente applaudiva. ‘Io canto per me. Cosa c’entrano loro?’.
Non aveva le idee chiare. O forse era troppo lucida. Si ricorda che alla fine di quella primissima esperienza scappò via perché i genitori non sapevano... non volevano. A diciott’anni era d’obbligo ubbidire. Ma non l’aveva fatto. E doveva correre a rimettere l’abito a posto il più in fretta possibile. Si ricorda che poco dopo, dietro le sue insistenze, il padre aveva convinto la madre a lasciarla fare: ‘Tanto, cosa vuoi, durerà qualche settimana questa follia. Lasciamola fare’” (Mina, che racconta in terza persona il suo debutto).
ANNI SESSANTA QUANDO ERAVAMO GIOVANI MARIA LUISA AGNESE
Collegio. Monica Guerritore, il primo giorno della prima media, se ne andò in piazza di Spagna a infilare perline nelle collane che vendevano i marocchini sulla scalinata di piazza di Spagna. “Mi piaceva da impazzire”. E poi? “All’una e mezza precisa tornai a casa. Trovai mia madre che parlava al telefono, e mi chiede: ‘Com’è andata a scuola?’. E io: ‘Benissimo!’. E lei: ‘Vai in camera, prepara la valigia, perché abbiamo il treno prenotato’. E io: ‘Per andare dove, mamma?’. ‘In collegio’. Aveva saputo che avevo fatto sega”.
Rape. “Ci davano da mangiare sempre quello che più odiavamo. Credo che facesse parte della nostra educazione britannica. Dovevamo finire tutto quello che ci veniva messo nel piatto. Se uno non finiva tutto quello che aveva nel piatto, se lo ritrovava davanti al pasto seguente. Il mio incubo erano le rape e la carne, nella quale apparivano nervi bianchi ed elastici” (Susanna Agnelli).
gianni boncompagni
Seicento. “Studiavo con lentezza arboriana. Ogni tanto facevo un esame. Un giorno dissi a mio padre: ‘Quanto mi dai se faccio cinque esami?’. Lui rispose: ‘Trecentomila lire’. Io feci tre esami veri e due falsi. Presi i soldi e andai con i miei amici al Circolo polare artico in Seicento” (Enrico Vaime).
Svezia. Tra i giovani maschi “il grande mito del tempo era la Svezia, la ragazza nordica, come ha ben illustrato Gianni Boncompagni, che in Svezia rimase dieci anni e tornò con due figlie”.
Monica Guerritore da giovane
Moravia. “Moravia contrasse l’abitudine estiva di Sabaudia, che significava: accanirsi sui tasti della Olivetti fino verso le undici della mattina, quindi scendere alla spiaggia e intraprendere una lunga passeggiata con l’acqua alla vita tirando su dalla rena le telline, che apriva a infallibili colpi d’unghia e succhiava.
Di pomeriggio diceva: ‘Vado a comperare un bel pescione’. Il proprietario della pescheria sulla piazza del mercato lo ricorda ancora con che lena frugasse i pesci sul banco di marmo per verificarne la freschezza. Si fermava poi per un gelato al bar di fianco al Comune, e tornava a casa.
Alberto Moravia by cristina ghergo (13)
Facevamo gare di cucina. Alberto amava lavare i piatti trattando l’acqua bollente a mani nude come se le avesse coperte di pesanti guanti di caucciù. Tutti eravamo ghiotti dello sformato di patate e mozzarella di Laura Betti” (Enzo Siciliano). Saint-Tropez. “A Saint-Tropez si poteva fare apertamente e in modo sfacciato tutto quello che si faceva segretamente a Parigi” (Françoise Sagan).
gianni e susanna agnelli alberto moravia sabaudia Elsa Morante Alberto Moravia
raffaella carrà barbara e gianni boncompagni