Aldo Cazzullo per il Corriere della Sera - Estratti
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Rafael Nadal avrebbe dovuto ritirarsi a 19 anni, dopo aver vinto il primo Roland Garros, quando gli dissero che non avrebbe più potuto giocare per una malformazione al piede sinistro. Ne ha vinti altri 13, e già questo basterebbe a capire che non avremo mai più un campione così.
Ma il fenomeno Nadal non è solo un fatto di numeri, o di imprese. Mai si è visto un simile combattente nella storia dello sport, capace di giocare ogni punto come se fosse una questione di vita e di morte, tranne forse su un ring; il tennis del resto è uno sport di combattimento in cui non ci si sfiora mai, un incrocio tra il pugilato e gli scacchi. Un gioco della mente. E mai si vide una mente più raffinata di quella di Nadal.
Anche Djokovic è di un’intelligenza mostruosa: parla otto lingue, mentre Rafa da ragazzino faticava persino con lo spagnolo, visto che pensava in maiorchino (ebbe la fortuna di capitare tra le mani di un genio della comunicazione come Benito Perez Barbadillo). Ma quando gli chiesi se avesse meno talento tennistico di Federer, Rafa rispose: «Ognuno di noi ha il suo talento. A qualcuno viene tutto facile; altri sanno resistere più a lungo sul campo. Lei può avere il talento di scrivere un buon articolo in mezz’ora; ma se un suo collega sa lavorare per sei ore di fila e tirar fuori un articolo ottimo, sarà un giornalista più talentuoso di lei».
aldo cazzullo
Ogni tanto rileggo quella risposta. Non ho mai sentito sul mio mestiere una cosa più intelligente.
Una testa meravigliosa si è trovata montata su un corpo pieno di difetti. Certo, Rafa aveva una velocità di piedi da ballerino, e negli anni ha temprato i muscoli. Il difetto al piede fu affrontato con una soletta speciale, che però gli infiammava il ginocchio, che a sua volta influiva sull’anca, che indeboliva gli addominali... Però lui sapeva trasformare la debolezza in forza, il dolore in capacità di resistenza. I rituali che tanto colpivano non erano tic, e neppure superstizione: altrimenti li avrebbe cambiati dopo una sconfitta. Era il suo modo di mantenere la concentrazione, di non ascoltare le voci di dentro: «Quelle, pericolose, che mi dicono che perderò; e quelle, ancora più pericolose, che mi dicono che vincerò».
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Certo, con gli avversari era feroce: una volta a Madrid discusse con Berdych, che l’aveva sconfitto scontrandosi con il pubblico; dopodiché Nadal ha battuto Berdych 17 volte di fila.
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Per tutte queste cose Rafael Nadal resterà nella storia non solo come un immenso tennista, ma come una persona buona, e come un punto di riferimento morale anche per chi non segue lo sport.
Dopo la vittoria nel penultimo slam, in Australia — rimontando due set a Medvedev, più giovane di dieci anni e più alto di tredici centimetri —, il quotidiano spagnolo Marca titolò: «Quando una cosa ti sembra impossibile, pensa a Rafa». Ti penseremo spesso, Rafa.
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