1. RESTIAMO APPESI A UN PIL CHE NON CRESCE MAI
Vittorio Feltri per ‘Libero Quotidiano’
Sono stati resi noti i dati più recenti relativi all' economia. Brutti, deprimenti. Siamo sempre appesi a un Pil che non aumenta mai o aumenta troppo poco rispetto alle attese.
vittorio feltri
Da almeno dieci anni sentiamo la stessa predica: dobbiamo favorire la crescita. Crescita di qua e crescita di là, un mantra che illude e stordisce al tempo stesso.
Ogni due per tre gli esperti (non solo del governo) si affannano in calcoli complicati per dirci che le cose tra poco andranno meglio, la realtà invece dimostra che vanno peggio.
Non so in base a quali elementi essi si abbandonino a previsioni ottimistiche, sta di fatto che non ci azzeccano.
L' impressione è che non siano abili a far di conto, ma che si limitino a consultare le stelle: compulsano le effemeridi anziché le statistiche e compilano oroscopi in cui soltanto gli stolti credono. Noi poveri tapini leggiamo, saremmo tentati di fidarci degli aruspici che si spacciano per tecnici e immancabilmente ci pentiamo di aver dato loro retta. Poi c' è chi si stupisce che i sacerdoti della politica e dell' economia non godano più della stima generale.
Diminuiscono gli elettori che si recano al seggio e aumentano gli apoti più disposti a bere birra e vino che non le bischerate sgorganti dalle bocche della verità falsa. Domina lo scetticismo nell' opinione pubblica che ragiona in modo semplice e diretto e rifiuta le elucubrazioni che spargono nebbia sull' evidenza. Ecco cosa manca: la chiarezza, e forse anche l' onestà, perfino quella intellettuale.
RENZI PADOAN
L' auspicata crescita non ci sarà mai finché gli imprenditori, anziché essere agevolati dallo Stato nel loro lavoro, saranno costretti ad operare in un ambiente ostile, che ritiene chiunque intraprenda una attività industriale, artigianale e commerciale un potenziale ladro, evasore fiscale e sfruttatore della manodopera. Se non cambia il clima, se non si placa la voracità del fisco, se non cambia la mentalità (intossicata dai residui del comunismo) è impossibile svoltare e, quindi, incrementare la produzione nonché la occupazione e, di conseguenza, i consumi che sono il termometro del benessere.
Chi può creare nuovi posti di lavoro se non i vituperati imprenditori? Non di sicuro il governo, che non ha stabilimenti e aziende. Il quale governo deve soltanto aiutare le imprese a reggere la concorrenza straniera e non vessarle con una tassazione che le induce a delocalizzare o a vendersi ai cinesi. Ovvio, chi non ce la fa più a tirare avanti perché massacrato da varie imposte e balzelli se ne guarda dall' espandersi e cerca piuttosto di fuggire o di cedere a buon prezzo l' opificio, allo scopo di campare di rendita.
renzi mani in tasca
Ma c' è un problema insuperabile. Se l' esecutivo taglia le tasse in misura acconcia, il bilancio italiano - già pieno di buchi - diventa un gruviera e il debito pubblico ingigantisce, cosicchè l' Europa ci strangola riducendoci come la Grecia. Ma se non le taglia, l' agognata e strombazzata crescita sarà una chimera. Non se ne esce neanche col buttafuori. Renzi aveva promesso: realizzerò la miracolosa spending review. Invece non ha messo mano alle forbici. Non ne è stato capace per motivi che ignoriamo. Pertanto siamo ancora legati a un Pil che non va su nemmeno con la gru.
E lui, il premier, non ci spiega perché ha aborrito le cesoie e insiste con gli zero virgola del Prodotto interno lordo cui si aggrappa nella speranza di un improbabile miracolo.
Caro Matteo, siamo messi male. Conviene andare in mona e poi rimanerci perché governare un Paese ingovernabile è come scalare l' Everest a piedi nudi. Ma se lei manco ci prova, che senso ha fare l' alpinista?
2. CRESCITA ZERO DEL PIL, SPAZI PIÙ STRETTI PER LA MANOVRA D’AUTUNNO
Dino Pesole per ‘’Il Sole 24 Ore’’
La frenata del Pil , non del tutto inattesa ma vistosa perché certifica una variazione nulla rispetto ai primi tre mesi dell’anno, restringe gli spazi della manovra d’autunno. Si apre così la strada alla richiesta di ulteriore flessibilità sul deficit da concordare con Bruxelles, via clausola per gli investimenti e trattativa sulle “circostanze eccezionali” motivate dal rallentamento del ciclo internazionale.
Irpef Irap Inps
Meno crescita e meno inflazione, con il Pil che segnerà un incremento non superiore allo 0,8-0,9% rispetto all’1,2% previsto dal Def di aprile e con l’indice dei prezzi al consumo sotto zero, rendono di conseguenza arduo rispettare l’impegno a ridurre il debito da quest’anno, portando il passivo al 132,4% del Pil contro il 132,7% dello scorso anno. Poche misure e tutte mirate alla crescita, ha annunciato il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, nell’intervista pubblicata dal Sole24Ore lo scorso 6 agosto. Obiettivo condivisibile, ma con quali risorse finanziare il necessario sostegno alla domanda interna all’interno di una manovra che già veleggia verso i 20-25 miliardi?
Una parte della nuova legge di bilancio, grazie all’incremento del target del deficit nominale del 2017 dall’iniziale 1,1% all’1,8%, servirà a disinnescare le clausole di salvaguardia pronte a scattare dal prossimo anno (aumento di Iva e accise per 15,1 miliardi). Con la frenata del Pil, che ridimensiona nei dintorni dell’1% (rispetto al precedente 1,4%) anche la stima di crescita del prossimo anno, andrà rivisto di conseguenza il target del deficit.
Non più l’1,8% ma un valore che oscillerà tra il 2 e il 2,2 per cento. Difficile spuntare di più perché comunque un segnale di riduzione rispetto al 2,3-2,4% atteso quest’anno occorrerà comunque darlo. Ecco allora che essendo preclusa la strada di un ulteriore incremento del deficit, il finanziamento delle misure per la crescita in agenda per la prossima manovra di bilancio dovrà poter contare su risorse provenienti sia dai tagli alla spesa corrente primaria, sia da aumenti di entrate.
DEBITO PUBBLICO ITALIANO
È il caso della possibile nuova versione della voluntary disclosure, o dei maggiori proventi che sarà possibile acquisire a fine 2017 dalla lotta all’evasione. Incrementi del gettito da non utilizzare per coprire aumenti di spesa, ma a beneficio dei conti pubblici e dunque con effetto diretto sull’intera manovra. E la premessa indispensabile è che riparta e si consolidi la fondamentale componente della spesa per investimenti, che già quest’anno dovrebbe segnare una prima inversione di tendenza rispetto agli ultimi esercizi.
La coperta era già corta prima ancora che l’Istat certificasse il rallentamento della crescita. Ora si restringe ulteriormente (la produzione industriale è in flessione dello 0,4%). Non a caso lo stesso Padoan parla di «vincoli stretti» per la prossima legge di bilancio. Alla ripresa dell’attività, dopo la pausa estiva, il Governo dovrà cominciare a ridefinire l’intero quadro delle variabili macroeconomiche, in vista del varo della Nota di aggiornamento del Def fissata per il 27 settembre.
Poi si tratterà di mettere a punto il menu della manovra di ottobre, calibrando attentamente interventi e coperture. L’elenco delle misure in cantiere è nutrito. Andranno operate delle scelte e diversi interventi dovranno essere rinviati, anche in previsione dell’incertezza politica che continua a persistere sull’esito del referendum costituzionale di novembre. Il che indurrà probabilmente Renzi e Padoan a concentrare gran parte delle misure nel primo passaggio parlamentare della manovra.
Per il capitolo fiscale, fermo restando l’intendimento del Governo di confermare il taglio dell’Ires dal 27,5 al 24% già inserito nei saldi di finanza pubblica, si tratterà di verificare se sussistano le condizioni per un ulteriore tentativo di sostegno alla domanda interna attraverso l’anticipo al 2017 di parte del taglio dell’Irpef, programmato al momento per il 2018. E per la proroga di incentivi come il superammortamento. Tutte misure che comportano oneri e che vanno finanziate.
Sul fronte previdenziale, il presidente del Consiglio ha annunciato un incremento della dote a disposizione della prossima manovra per le pensioni più basse. Stando alle ultime proiezioni, l’intero capitolo sulle previdenza, comprensivo delle norme per garantire la flessibilità in uscita, comporterebbe una maggiore spesa per 3-4 miliardi a regime, contro la cifra di 1,5-2 miliardi ipotizzata nel corso del confronto preliminare con i sindacati.
RENZI E BOSCHI
Vi andrebbe aggiunto il costo della stabilizzazione degli incentivi per i neo assunti a tempo indeterminato, tanto per limitarci alle misure principali. La sensazione è che molto difficilmente si riuscirà a onorare tutte le promesse di cui si è discusso finora. Se ne potrà riparlare nel secondo passaggio parlamentare della manovra, a condizione che l’esito della consultazione referendaria sia quello auspicato dal Governo e che nel frattempo l’Economia abbia individuato tutte le coperture necessarie a finanziare gli interventi in cantiere.