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    QUARANT’ANNI DI SOGNO (E INCUBO) AMERICANO - PALAZZO STROZZI A FIRENZE OSPITA LA MOSTRA “AMERICAN ART 1961-2001”, UN VIAGGIO NELLA STORIA DEGLI STATI UNITI CON OLTRE 80 OPERE: DAL NAPALM IN VIETNAM FINO ALL’11 SETTEMBRE ATTRAVERSO IL "NEW DADA" DI JASPER JOHNS E ROBERT RAUSCHENBERG, L'IRRIVERENTE RIPETIZIONE DI ANDY WARHOL E GLI HAPPENING DEL DANZATORE MERCE CUNNINGHAM…


     
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    Anna Lombardi per “il Venerdì di Repubblica”

     

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    Dal sogno americano di John Fitzgerald Kennedy alla fine delle illusioni con George W. Bush. È l'arco di tempo su cui si concentra la grande mostra che si inaugura il 28 maggio nelle sale di Palazzo Strozzi a Firenze. Aperta fino al 29 agosto, American Art 1961-2001 è curata da Arturo Galansino, direttore Generale della Fondazione Palazzo Strozzi e da Vincenzo de Bellis, curatore per le arti visive al Walker Art Center di Minneapolis. È un lungo e suggestivo viaggio che ripercorre la storia degli Stati Uniti attraverso oltre 80 opere di grandi artisti americani, molte delle quali esibite per la prima volta in Italia.

     

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    Dal 1961 al 2001, quarant'anni caratterizzati dal Napalm in Vietnam prima e dal disarmo nucleare poi. Ma anche dalle rivolte nei campus contro la guerra, dalle marce per i diritti civili degli afroamericani, dalle battaglie femministe e delle bandiere arcobaleno a sventolare sul Gay Pride. Un'epoca frenetica: all'insegna di consumismo e nuove tecnologie, dove all'impegno seguì l'edonismo: e il lato oscuro dello yuppissimo American Psycho - il serial killer immaginato da Bret Easton Ellis - prese il sopravvento sugli eroi, maledetti anche loro, della beat generation On the road di Jack Kerouac e compagni. Anni macchiati dal sangue di troppe tragedie: gli assassinii dei leader neri Malcolm X e Martin Luther King, le migliaia di morti di Aids ricordati coi fiocchetti rossi, fino alle vittime dell'attacco alle Torri gemelle, l'11 settembre del 2001.

    wigs, lorna simpson wigs, lorna simpson

     

    Ebbene, quelle grandezze e tensioni hanno segnato in profondità il linguaggio dell'arte americana aprendo a un'epoca di sperimentazioni senza precedenti. Interpretate, di volta in volta, dal gesto espressionista di Mark Rothko, l'ebreo arrivato dalla Russia che abbandonò la chiave surrealista per esplorare i confini astratti del colore. Dal New Dada di Jasper Johns e Robert Rauschenberg. E dall'irriverente ripetizione grafica di pubblicità e fumetti del maestro della Pop Art, Andy Warhol. Per poi confluire nell'abbandono di ogni confine fra arte e vita, intrecciate negli happening del danzatore e coreografo Merce Cunningham. Approdando a quelle silhouette dell'afroamericana Kara Walker, che affondano le loro radici nel teatro vittoriano ma sono usate per narrare l'orrore della schiavitù e della sofferenza dei neri nell'arco dell'intera storia americana.

     

    matthew barney, cremaster 2 the drones’ exposition matthew barney, cremaster 2 the drones’ exposition

    La mostra chiude una trilogia di esposizioni che Palazzo Strozzi ha dedicato a momenti fondamentali della storia artistica degli Stati Uniti" ci spiega Galansino. "Nelle precedenti, Americani a Firenze. Sargent e gli impressionisti del Nuovo Mondo del 2012 e Da Kandinsky a Pollock. La grande arte del Guggenheim del 2016, avevamo sottolineato i rapporti tra la cultura europea e quella americana, partendo dai pittori di fine Ottocento e arrivando ai primi anni Sessanta. Ora raccontiamo quarant'anni, dal Vietnam all'11 settembre, caratterizzati dal dominio americano a livello sia culturale che geopolitico, e lo facciamo da un punto di vista storico più ampio".

     

    Un'idea a cui lui e de Bellis lavorano fin dal 2017: "Abbiamo pensato a questo progetto in un momento in cui, sotto l'amministrazione Trump, si stava stravolgendo il ruolo dell'America nel mondo. A ispirarci in questa inedita periodizzazione è stato il ventesimo anniversario dell'attentato alle Twin Towers, un evento che ha cambiato le nostre vite e che ha segnato uno spartiacque storico. Abbiamo cercato di raccontare quegli anni attraverso l'arte. Certo, è una storia incompleta. Ma abbiamo comunque provato a tracciare un itinerario che tocca molti temi caldi del nostro recente passato. Si parla di diritti civili, di Aids, di femminismo, di società di consumi. Una rassegna resa, seppur involontariamente, ancora più attuale e significativa dalla collaborazione con il Walker Center di Minneapolis". Ovvero la città dove un anno fa l'afroamericano George Floyd venne ucciso dal poliziotto bianco Derek Chauvin che per 9 minuti e 29 secondi gli tenne premuto un ginocchio sul collo. Le immagini della sua morte, la scorsa primavera, divennero virali e finirono per incendiare l'America intera. Così come il mondo intero ha aspettato la condanna di Chauvin, lo scorso 20 aprile.

     

    jackie kennedy jackie kennedy

    "L'ultima parte della mostra, dedicata agli anni Novanta, è in buona parte orientata verso questi temi, oggi sempre più urgenti grazie al movimento Black Lives Matter, con le opere di artisti come Kerry James Marshall, Glenn Ligon o Kara Walker". Toccando così un dibattito attualissimo in America ma ancora poco affrontato in Italia: quello dello spazio dato alle minoranze nella storia dell'arte. "Un tema di cui da noi a Minneapolis naturalmente si parla tantissimo. Gli artisti esposti, lo staff delle istituzioni culturali sono ancora in maggioranza bianchi a fronte di una situazione molto più complessa" dice Vincenzo de Bellis, il curatore approdato in America nel 2016 dopo aver diretto Milano Miart. "La mostra racconta l'arte americana attraverso la chiave di una collezione molto particolare: quella del Walker Art Center, appunto" continua de Bellis. "Il nucleo originale nasce dalla collezione di un uomo d'affari, Thomas Barlow Walker, che nel 1874 diede il via a una delle più importanti raccolte del Midwest e nel 1879 decideva di aprire la sua casa a chiunque volesse visitarla, trasformando le sue 14 stanze nella prima galleria d'arte pubblica a ovest del Mississippi, capace, nel 1915, di accogliere 100 mila visitatori l'anno".

    kerry james marshall, black power kerry james marshall, black power

     

    A trasformarla in una delle collezioni d'arte contemporanea più importanti degli Stati Uniti, è però il progetto federale che nel 1939 finanzia il modello di centro artistico contemporaneo che ancora conosciamo, un'istituzione la cui missione è sostenere la produzione di nuova arte e preservare le opere storicamente importanti. Ma è soprattutto la figura del direttore Martin Friedman, nominato nel 1961, a imprimergli la direzione che lo renderà uno spazio davvero unico in America. Scommettendo sulle nuove forme di linguaggio che negli anni 60 rivoluzionano l'arte e che danno alla collezione il suo carattere specifico.

     

    jeff koons, rabbit jeff koons, rabbit

    "Non a caso possediamo l'intero archivio di Merce Cunningham, capace di traghettare la danza dal teatro agli happening e ai linguaggi d'avanguardia. O le scenografie teatrali di artisti come Robert Rauschenberg o David Hockney". Con un'attenzione particolare all'arte ispirata dai fatti, quelle stesse opere che ritroviamo anche alla mostra di Firenze: "Ci sono due foto di Robert Mapplethorpe che parlano di omosessualità e Aids. Un'opera di Jenny Holzer che è insieme poesia e atto d'accusa contro la società americana. Il lavoro di Sarah Charlesworth del 1978, ispirato al rapimento Moro. E poi Blind Ambitions, opera visionaria di Kerry James Marshall ispirata alle proteste per i diritti degli afroamericani, che mostra una scala: quella in cima alla quale i neri non arriveranno mai. Per finire, ancora, con Kara Walker - omonima ma non legata in alcun modo alla figura del fondatore della collezione - vero pugno nello stomaco". Il sogno di Kennedy e la fine delle illusioni di Bush si specchiano nell'America tormentata e divisa di Donald Trump ieri e di Joe Biden oggi.

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